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Cappella dei Santi Efisio e Potito

Cappella dei Santi Efisio e Potito

La cappella dei Santi Efisio e Potito fu utilizzata in passato per celebrare le ordinazioni sacerdotali, abitualmente riservate alla cattedrale. Edificata a partire dal 1711 per volontà dell’arcivescovo Francesco Frosini (1702-1733), la sua costruzione fu inserita all’interno di un progetto più ampio, relativo sia agli ambienti interni al palazzo, sia al cortile centrale. Sotto la guida del successore Francesco Guidi (1734-1778), i lavori alla cappella furono portati a termine con la realizzazione degli affreschi. La loro esecuzione venne affidata interamente ai fratelli Francesco (1675-1742) e Giuseppe Melani (1673-1747), che operarono dal 1739 al 1744. Nella visita pastorale del 15 novembre 1744 troviamo il verbale della benedizione dell’altare e la dedicazione della cappella – “perfecte restaurata, per manus Illustrium Virorum Equitum Iosephi et Francisci fratrum Melani mirifice depicta” – ai Santi Efisio e Potito.

Secondo quanto riportato da Alessandro da Morrona nel secondo volume di Pisa illustrata nelle arti del disegno, Francesco Melani morì “poco dopo la fatal sua caduta dal palco della Cappella arcivescovile, ove dipingeva” (A. da Morrona, Pisa illustrata nelle arti del disegnov. II, Pisa, 1792, p. 318).

Oggi l’apparato decorativo settecentesco, ben conservato, appare costituito da articolate quadrature che ricoprono interamente le pareti, dilatando gli spazi e fungendo da sfondo a figure allegoriche.

Sulla parete di fronte all’ingresso è collocata la mensa in marmo bianco e breccia, sorretta da una coppia di volute e completa di tabernacolo centrale. L’altare, consacrato dall’arcivescovo Francesco Guidi nel 1745, fu completato dal Cardinale Pietro Maffi nel 1910 con l’aggiunta del nuovo tabernacolo, in occasione del compimento del suo sesto anno di ingresso nella diocesi di Pisa.

Sopra la mensa trova posto la pittura murale dedicata al Martirio dei santi Efisio e Potito, realizzata da Giuseppe Melani tra il 1739 e il 1745. La scelta del soggetto, relativa ai due santi martiri venerati in Sardegna, ha molto probabilmente un duplice significato: da un lato, offriva ai giovani sacerdoti, che qui ricevevano l’ordine, modelli esemplari di comportamento, dall’altro, esprimeva la volontà di riaffermare il titolo di primate di Sardegna dell’arcivescovo pisano. L’affresco, definito da una sottile cornice dorata, sembra assumere l’aspetto di una tela dipinta, inserita come pala d’altare all’interno di un dossale effimero.

Le pareti della cappella sono dipinte in modo da creare un’architettura fittizia, costituita da colonne, archi, mensoloni, trabeazioni, cornici e balaustre, in un gioco continuo d’imitazione della realtà. Presso i gli angoli dell’aula sono rappresentati quattro grandi candelieri dorati, mentre coppie di figure allegoriche caratterizzano ogni lato dell’aula. Nelle cartelle verticali color ocra sono rappresentate le insegne vescovili e papali.

Le quadrature delle pareti si innalzano fino alla volta, al centro della quale si apre un oculo dipinto che ospita il Trionfo della Vergine Immacolata, affrescato da Francesco e Giuseppe Melani contestualmente al resto dell’aula (1739-1745). Il gruppo principale è costituito dalla figura della Madonna raffigurata secondo l’iconografia della “donna vestita di sole”, circondata da putti e da angeli, a cui si accosta l’immagine di Dio Padre.

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