Gli arcivescovi, che nel Settecento curarono la decorazione pittorica del palazzo, si preoccuparono di connotare visivamente gli ambienti religiosi ed istituzionali con la rappresentazione allegorica delle Virtù del Buon Vescovo e delle insegne episcopali, con l’intento di celebrare il suo ruolo di guida della diocesi e di indicare le qualità indispensabili per compiere la sua attività pastorale.

Cappella dei Santi Efisio e Potito
Quando l’arcivescovo Francesco Guidi (1734-1778) affidò il compito di affrescare la cappella dei Santi Efisio e Potito ai fratelli Melani, aveva in mente un programma iconografico coerente con la funzione di cappella per le ordinazioni sacerdotali che l’ambiente sacro era destinato a svolgere.

Lungo le pareti, dipinte con quadrature architettoniche, sono raffigurate le insegne ecclesiastiche: ai fianchi dell’altare maggiore campeggiano gli attributi del Papa (tiara, croce papale, chiavi incrociate, calice e Libro aperto da cui fuoriesce la colomba dello Spirito Santo), mentre sulle restanti pareti sono rappresentate quelle vescovili (mitria, croce metropolitana, pastorale, rami di palma incrociati, Libro aperto e vari arredi liturgici necessari per la celebrazione).

Le allegorie delle virtù sono ritratte sia nei medaglioni della volta (Fede, Carità, Speranza e Purezza), sia lungo le pareti della cappella, dipinte a figura intera come statue appoggiate su mensole. Alle Virtù della Giustizia e della Pace, della Mansuetudine e della Pietà, della Carità e della Misericordia, ispirate alle Lettere paoline a Timoteo (dette in seguito pastorali), si aggiungono le due figure allegoriche rappresentate accanto all’altare maggiore, riconducibili iconograficamente alle Beatitudini (la n. VIII dedicata a coloro che soffrono per ingiustizia e la n. V relativa alla mondezza di cuore).

Salottino del lato ovest
Il tema delle virtù vescovili si ritrova anche in un ambiente raccolto come quello del salottino del lato ovest, anticamera al salone principale. Qui il Guidi fece dipingere da Pietro Giarrè le figure della Prudenza e della Temperanza, circondate da un suggestivo paesaggio di architetture in rovina.

Camera dell’Udienza
In linea con quanto svolto dal suo predecessore, anche l’Arcivescovo Angelo Franceschi (1735-1806) proseguì il programma iconografico nelle altre stanze di rappresentanza del palazzo. Nella Camera dell’Udienza, ambiente istituzionale destinato al ricevimento del presule, il Franceschi fece affrescare la volta dal Tempesti con il Trionfo delle Virtù, popolato dalle personificazioni della Fede, della Speranza, della Carità, dell’Umiltà, della Mansuetudine e della Castità in contrapposizione con i Vizi dell’Ira, della Vanità e dell’Invidia. Dalla balaustra dipinta fanno capolino alcuni putti, che sorreggono le insegne vescovili: la mitria, la croce metropolitana, il pastorale e il pallio. Questi ultimi sono oggetti particolarmente legati alla simbologia del Buon Pastore: il pastorale, attributo proprio del vescovo e degli abati, è un bastone che termina a spirale, mentre il pallio è una fascia di lana bianca indossata sulle spalle dai papi e degli arcivescovi primati e metropoliti (titolo proprio dell’Arcivescovo di Pisa) durante le solennità liturgiche.

Proprio al soggetto del Buon Pastore si ispira l’affresco conservato nell’ala privata del palazzo, strettamente legato alla figura del vescovo che si prodiga per la salvezza delle anime del popolo che gli è stato affidato, come il pastore cura le sue pecore. Si tratta di una simbologia molto antica, che ha trovato larga diffusione nel corso dei secoli con diverse declinazioni: in questo caso l’affresco, distanziandosi dalla visione serena e bucolica più tradizionale, raffigura un giovane pastore nell’atto di brandire un bastone e di allontanare con quello i lupi che minacciano il suo gregge.