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L’arte della miniatura

L’arte della miniatura

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Il termine miniatura, che indica l’arte della decorazione di un libro, sia manoscritto che, a partire dalla metà del XV secolo, a stampa, deriva dal latino “miniare“, che vuol dire «scrivere in rosso le lettere iniziali di una pagina». Il minium era infatti il pigmento rosso-arancio usato per delineare queste iniziali.

In questa arte si evidenzia uno stretto legame tra testo e immagine. Basti pensare ai capilettera: inizialmente abbelliti con elementi decorativi divennero poi figurati e istoriati.

La tecnica della miniatura nasce in epoca antica ma conosce il suo successo in età medievale, in concomitanza con lo sviluppo dei processi di produzione dei testi nei grandi monasteri (gli scriptoria). Nei monasteri si preparava la pergamena, si rigava e scriveva il manoscritto, lo si illustrava e infine veniva eseguita la legatura.

Alcuni dei centri più importanti della produzione dei libri illustrati nell’Italia altomedievale, oltre a Roma, sono: gli scriptoria dei grandi monasteri benedettini, i monasteri di Bobbio, quello di Nonantola e di Montecassino, le grandi sedi vescovili come Milano e Padova…

Il crescente peso della committenza laica, circoli universitari e aristocrazia in primis, stimolò la creazione di ateliers che avevano la loro sede non più nei conventi ma nei centri urbani più importanti. Questi ateliers svilupparono una nuova iconografia, legata non più solo a testi sacri ma nata attorno ai temi della letteratura profana cortese.

Con la diffusione della stampa e l’avvento delle tecniche incisorie meccaniche, decorazione e illustrazione miniata subirono un inevitabile declino.

Cinque dei sette codici (gli antifonari A, B, C, E, F) furono miniati tra il 1486-1498 dal maestro Jacopo da Balsemo e bottega, maestranza che dominò il campo artistico bergamasco a cavallo tra l’età tardo gotica e quello rinascimentale. Le miniature alternano elementi riconducibili con sicurezza al maestro (es. alcuni quadri delle iniziali, in cui si facevano sintesi figurate degli avvenimenti evangelici richiamati) a caratteri di spiccata serialità, segno della diffusione e riproduzione di modelli iconografici comuni nel contesto di bottega. Certamente il miniatore interveniva dopo la trascrizione del testo e della musica sulla base di piccole lettere di attesa, talvolta ancora visibili nelle parti non miniate.

Il resto delle decorazioni, fogliame, fiori, intrecci leggeri ai margini erano probabilmente lasciati alle pazienti mani dei suoi collaboratori calligrafi.

Le miniature più tarde dei codici (A, B e C) sono state attribuite dalla critica a frate Evangelista da Bergamo, che nel 1729 firmò il restauro dell’antifonario C: Librum presente Cathedralis Bergomi qui inscribitur Antiphonarium festivum a Vig. […] a vetusta et deficentia resaurati frate Evangelista a Bergamo ordinis Minorum Reformatorum Conventus S. Mariae Gratiarum, de ordine illustr.mi et rev.mi Comitis Rogerii de Alexandris Canonici Primicerii, 1792

Gli ultimi due codici di questo corpus antico (l’antifonario G e l’antifonario H), sono leggermente più tardi (inizi XVI secolo) e le miniature sono opera di un anonimo maestro influenzato dalle innovazioni della cultura artistica rinascimentale di ambiente lombardo.

Per approfondimenti su:

 

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