Il pergamo della Chiesa di San Michele in Borgo di Pisa, tra passato e futuro

Smembramento del pergamo di San Michele in Borgo

Smembramento del pergamo di San Michele in Borgo

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Gran parte degli smembramenti e spostamenti subiti dagli amboni e pulpiti tra la seconda metà del XVI e il XVIII secolo, devono essere ricondotti principalmente alle mutate esigenze liturgiche introdotte con il Concilio tridentino che portarono all’eliminazione di queste due strutture e della recinzione presbiteriale, considerati impedimenti alla vista dell’altare maggiore da parte dell’assemblea. In realtà già molto tempo prima l’uso del pergamo aveva avuto una battuta d’arresto, a causa di mutate esigenze liturgiche e culturali: una per tutte il ruolo predominante della predicazione che, a partire dal XIII secolo, portò al suo abbandono a favore del pulpito. L’ultimo pergamo realizzato fu infatti quello di Giovanni Pisano per il Duomo di Pisa nei primi anni del Trecento.

I primi smembramenti risultano essere stati compiuti ad opera del Vasari, a partire dall’anno 1560, sui pergami della Pieve di Arezzo, del Duomo di Pistoia e di San Pier Scheraggio, (oggi a San Leonardo in Arcetri a Firenze). Un secondo ciclo di interventi avvenne negli anni a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento, e riguardarono il Duomo di Volterra (1580), San Bartolomeo in Pantano (Pistoia, 1591), Buggiano (1596), Arena (Pisa, 1597-1598), Massa Marittima (1598), Sant’Agata nel Mugello (1608), Duomo di Pescia (1622). Merita un particolare approfondimento il caso dello smembramento del pergamo di Giovanni Pisano nella Cattedrale di Pisa e la sua ricomposizione nel 1926. I dettami del Concilio di Trento furono accolti più lentamente e con maggiore riluttanza nelle zone più remote e rurali: ne è testimonianza l’intervento sul pergamo di Guglielmo nel Duomo di Cagliari (già nel Duomo pisano fino ai primi anni del Trecento), che fu smembrato solo nel 1670 e ricomposto, diviso in due pseudo-cantorie, sulla controfacciata. Accanto alle operazioni di smembramento assistiamo dunque, tra la fine del XVI e il XVIII secolo, al fenomeno di reimpiego dei pezzi in nuove strutture – caso emblematico il pergamo pistoiese di San Bartolomeo in Pantano, ricomposto una prima volta nel 1591 come cantoria – o come completamento di altre già esistenti.

Il pergamo di San Michele in Borgo, nato come luogo per la proclamazione,  era collocato in origine in prossimità del coro, a ridosso del recinto presbiteriale che, prima degli interventi del 1648, si spingeva molto in avanti fino ad occupare gran parte della navata centrale. La lunga e complessa storia dell’ambone inizia nel marzo del 1579, quando assistiamo ad un primo spostamento – per il quale viene registrato un pagamento al muratore Maestro Giovanni – nel centro di due colonne che separano la navata centrale dalla navatella di destra. Nel 1648, l’opera viene smembrata ad opera dello scalpellino Bastiano Bitozzi, e parte dei suoi elementi – cinque delle sette colonne, i due leoni stilofori, gli archetti e le colonnine di unione di questi – vengono riutilizzati per la realizzazione di due confessionali a muro, rimossi intorno alla metà del Novecento (descritti dettagliatamente da Rohault de Felury alla fine dell’Ottocento e da Bellini Pietri nella sua “Guida di Pisa” del 1913), in occasione dei lavori di restauro della chiesa danneggiata dai bombardamenti. Le formelle vengono invece inserite nel parapetto dell’altare maggiore, dove rimangono fino alla seconda metà del secolo successivo, quando smantellato il parapetto, quattro di esse vengono dapprima “incassate nel muro dell’andito privo di luce che dal presbiterio conduce alla sacrestia” (A. Da Morrona, “Pisa illustrata nell’arte e nel disegno”, 1793), quindi intorno al 1812 vengono murate su una parete tra i due confessionali. Nei primi decenni del XIX secolo queste ultime vengono consegnate all’Opera del Duomo di Pisa, in cambio di alcuni rosoni e dipinti, e inserite nella balaustra dell’organo nella Cattedrale, dove rimangono fino al 1953, quando vengono trasferite al Museo Nazionale di San Matteo in cui ancora oggi si trovano insieme ad altri pezzi dello stesso ambone. Infine la base esagonale della colonna centrale, ribassata, viene utilizzata come sostegno di un’acquasantiera e la formella con l’Annunciazione collocata su una parete come ornamento di una cappella, sempre all’interno della medesima chiesa, come riportato sempre dal Bellini Pietri.  Prima del trasferimento nel Museo, il parroco di San Michele in Borgo tenta di riunire tutti i pezzi per poterli riassemblare, ottenendo dall’Opera della Primaziale parere favorevole (deliberazione del 27 marzo 1953), ma, per motivi ancora oggi ignoti, la cosa non si realizza. Negli anni ’70 del Novecento il Prof. Antonio Fascetti – scultore, insegnante, storico dell’arte e scrittore, appassionato di storia, socio fondatore dell’Associazione Amici di Pisa – in visita alla chiesa di Pariana (Villa Basilica, Lucca) insieme all’ispettore onorario Carlo Gabrielli Rosi di Lucca, rinviene due colonne tortili tagliate a metà per verticale e riutilizzate all’interno della medesima chiesa. Da una notazione dello stesso Fascetti sul retro della fotografia di una delle colonne, si ricava che queste furono trasferite a Pisa nel 1975 presso la Soprintendenza ai Monumenti, “sotto la pressione del sottoscritto, spalleggiato da don Riccardo Barsotti e dal Presidente degli Amici di Pisa”. Oggi si conservano nei depositi del Museo nazionale di San Matteo, dove è plausibile che si possano rintracciare altri elementi una volta appartenuti al nostro pergamo.

Al Fascetti si deve inoltre il rinvenimento, una decina di anni dopo, del capitello appartenente al sostegno centrale, che era stato murato nella parete di un edificio confinante con la chiesa di San Michele. L’intervento sollecito della Soprintendenza ne ha permesso il recupero consegnandolo al Museo di San Matteo dove ancora oggi si conserva insieme agli altri elementi.

 

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