Dal loculo all’altare: un viaggio alla scoperta delle reliquie catacombali nella diocesi di Novara

L’origine del fenomeno nella diocesi di Novara

L’origine del fenomeno nella diocesi di Novara

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Le prime presenze di corpisanti provenienti dalle catacombe romane, nell’ambito del vasto territorio della diocesi di Novara, sono da ricondurre all’iniziativa dell’autorità ecclesiastica che, con la loro capillare e mirata distribuzione in alcune località, intendeva offrire ai fedeli nuovi riferimenti devozionali. Fu il vescovo Carlo Bascapè, che sedette sulla cattedra di San Gaudenzio dal 1593 al 1615, che per primo organizzò l’arrivo di reliquie dall’Urbe, servendosi dell’operato di Giovanni Battista Cavagna. Questo singolare personaggio, originario di Momo, grazie ai suoi legami con la nobile famiglia Mattei, in particolare con Gerolamo, creato cardinale da papa Sisto V, ebbe la possibilità di intraprendere ricerche nei cimiteri del suburbio romano, recuperando resti di presunti martiri. La residenza Mattei era un luogo d’incontro tra i maggiori protagonisti della vita culturale e religiosa della città, come ad esempio San Filippo Neri e forse qui il novarese conobbe il pittore Giovanni Angelo Santini – detto Toccafondo – che si occupava di copiare affreschi e decorazioni dei riscoperti ambienti cimiteriali. Fu proprio accompagnando l’artista nelle sue esplorazioni che Cavagna iniziò ad intraprendere la sua attività di recupero di corpisanti; egli, assumendo lo specifico ruolo di cercatore di reliquie, procurò alla diocesi di origine il primo e consistente apporto di reliquie catacombali.

L’accoglienza riservata al prezioso carico, giunto a Novara nel luglio del 1600, fu molto solenne e caratterizzata dall’apparato delle cerimonie barocche, testimoniando così l’importanza attribuita ai sacri resti. Una seconda e più consistente spedizione di reliquie venne organizzata per il 1603, allo scopo di raccoglierne il maggior numero possibile da distribuire alle chiese della diocesi. Nei mesi successivi, parte delle reliquie venne consegnata ad alcune comunità del territorio diocesano, mentre un’altra molto consistente fu riservata per la cattedrale di Santa Maria.

Giovanni Battista Cavagna era ormai un personaggio noto e la notizia di questi trasporti di reliquie si era diffusa anche nell’ambiente romano; proprio la notorietà delle sue imprese fu per lui causa di problemi con l’autorità ecclesiastica. Le accuse mosse nei suoi confronti erano quelle di essersi introdotto nelle catacombe furtivamente e più volte di quante non fosse stato autorizzato, avendo realizzato nel terreno aperture abusive attraverso cui estrarre un numero di corpi maggiore rispetto a quello per cui aveva ottenuto regolare licenza. Non è facile stabilire se queste accuse fossero fondate, o frutto di calunnie ad opera di chi, per qualche motivo, voleva minare la posizione ed il ruolo assunti da Giovanni Battista, screditandolo dinnanzi alla curia romana, al vescovo Bascapè e al popolo novarese.

Questa vicenda segnò la fine della sua attività ma non la distribuzione delle reliquie da lui donate, che Bascapè concesse a località geograficamente distribuite in modo omogeneo all’interno del territorio della diocesi. Nella pianura, con le reliquie di Giuliana a Borgolavezzaro, il corpo di Genesio a Suno e una reliquia di San Cassiano a Trecate; in Valsesia con i corpi di Fabiano a Scopello, Vincenzo, Marco e Marcello a Varallo; l’area centrale con Fortunato, deposto nella parrocchiale di Borgomanero e quella settentrionale, dove si trovano quelli di Vito ad Omega, nel Cusio, e Massimino a Pallanza, nel Verbano. Cavagna, dopo aver ancora seguito la donazione di alcune reliquie in diocesi, in particolare quella dei corpi di Zeno e Tecla per il suo paese natio, trascorse proprio a Momo i suoi ultimi anni, fino alla morte avvenuta nell’agosto del 1619.

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