Architetture e progetti ecclesiali contemporanei: la diocesi di Bolzano-Bressanone

Duplicazione dello spazio liturgico

Duplicazione dello spazio liturgico

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Il tema dell’ampliamento delle antiche chiese o della nuova costruzione che si affianca può essere compreso alla luce di due fattori. Il primo deriva dal forte legame con le proprie tradizioni; là dove, in altre zone del territorio italiano, si sono abbandonate le vecchie  chiese ormai anguste costruendone di più grandi o addirittura demolendole per ricostruire sul medesimo sedime quelle nuove, qui non sarebbe facilmente accettato. Il secondo  fattore deriva sicuramente da una ermeneutica interpretativa del tema della conservazione di un bene culturale; in queste aree il bene è visto nell’ottica del suo uso e non della sua fissazione museografica. Così come in passato le chiese sono sempre state trasformate, ampliate, arricchite, denudate, così continua ad avvenire oggi. Questo avviene anche a motivo della formazione di molti degli architetti e di quelli ai quali è affidato il governo del territorio dal punto di vista della conservazione storico artistica: le facoltà di architettura di Austria e Germania. Quest’ultimo fattore è legato a un altro approccio; il nuovo è nuovo, si appropria pienamente del linguaggio contemporaneo e non imita o fa il verso all’antico, al limite lo interpreta. La svolta dell’architettura sudtirolese che negli anni ‘60 e ‘70, tranne alcuni esempi, è stata fortemente caratterizzata dal regionalismo – che inesorabilmente finisce per scivolare nel kitsch – ha compiuto la svolta verso la modernità verso la metà degli anni ’80. Vari i fattori che vi hanno contribuito: un gruppo di pionieri della Val Venosta, Walter Dietl, Christian Kasteller, Arnold Gapp e Werner Tscholl; i viaggi studio organizzati dall’Ordine degli architetti; l’impegno politico nei confronti dell’architettura da parte del governo della Provincia. Calderan nota che la qualità non è ascrivibile tutta al luogo di studio, «Semmai essendo tutti importatori e tra – scrittori in un territorio comune d’esperienze e conoscenze fatte altrove, amiamo andare a vedere cosa fanno gli altri, ci piace mescolare le carte dando vita ad uffici ad assetto variabile, ad alleanze temporanee, a mescolanze che cancellano o intrecciano le scuole diverse da cui proveniamo». (1)

 L’architettura pubblica, con lo strumento dei concorsi, ha chiara l’idea della funzione sociale e culturale che essa porta con sé, ma ha anche chiaro che il linguaggio può essere solo quella della modernità. Una progettazione congiunta, con l’idea di costruire una chiesa per una comunità unita, “insieme”, trova concretizzazione nel progetto della chiesa per Sinigo (Sinich) al punto che il motto “syn”, caro al vescovo Egger, fu impresso sull’architrave del portale della chiesa.

L’ampliamento della chiesa di San Giusto è stato affidato all’architetto Bruno Flaim e nel 2000 è stata posata la prima pietra. La nuova chiesa affianca e si collega alla vecchia in cui permangono alcune funzioni liturgiche.

Anche il nuovo assetto della chiesa di Sant’Antonio Abate e San Nicolò di  Laives (Leifers) è l’esito della necessità di spazi atti a contenere i fedeli in aumento: l’antica chiesa col suo cimitero però non possono essere abbandonati. La presenza dei cimiteri, solitamente a sud delle chiese o tutt’intorno, è un elemento che indirizza verso la scelta dell’ampliamento anziché una nuova chiesa in un altro lotto. Il decreto napoleonico del 1804, a Bolzano fu ignorato, «forse per antagonismo e disobbedienza politica». (2) Nella maggioranza dei paesi, il cimitero è chiuso da un muro che circonda del tutto o una parte della chiesa  e infatti il nome corretto è «Kirchhof» (cimitero della chiesa) e spesso funge da sagrato. La sua forma si distingue da tutte perché è un segno orizzontale in un paesaggio, quello alpino, in cui costruire in piano risulta molto oneroso; spesso è quasi l’unica piazza o giardino dei piccoli paesi. La caratteristica del luogo è, oltreché la sosta, l’attraversamento. Lo si attraversa, non solo per entrare in chiesa, perché i suoi vari accessi diventano parte della rete dei percorsi del paese. (3) Tutto ciò lo rende un luogo particolare e completamente diverso dai cimiteri del territorio italiano. È uno spazio di cura, di preghiera, di memoria, punto di collegamento tra la vita e la morte, luoghi in cui la morte non è celata alla vista, ma fa parte della vita stessa. Thomas Eliot fa dire a Mary in Riunione di famiglia: «Io credo che il momento della nascita sia quando abbiamo nozione della morte».

Il comune di Laives negli anni ‘90 si fa promotore di un rinnovamento dell’assetto urbanistico e architettonico della città e in questo contesto rientra anche il progetto di ampliamento della chiesa. La comunità italiana di Laives desidererebbe una nuova chiesa per sé, ma il vescovo Joseph Gargitter incoraggia verso un progetto comune di ampliamento di quella antica. Quindi vengono incaricati Höller&Klotzner che sono anche i vincitori del concorso per il centro della città. 

Negli anni Novanta anche la piccola chiesa di Sant’Ulderico di Plaus risulta ormai insufficiente per la comunità in crescita. Qui si è optato per costruire una nuova chiesa; l’antica e la nuova sono disposte ravvicinate con il portali d’ingresso che si fronteggiano, affinche il legame e la memoria del passato non vengano meno. Questa nuova chiesa apre un altro tema quello della cappella funebre (Trauerhalle, letteralmente, aula del commiato). In queste aree sono in uso i libri liturgici delle Conferenze Episcopali di lingua tedesca. «Die kirchliche Begräbnisfeier» (il nostro Rituale delle esequie) risente quindi degli adattamenti culturali previsti dall’Editio typica. Delle uniche due forme previste, la prima forma presenta tre possibili modalità ognuna delle quali suddivisa in tre stazioni. Per la prima stazione vengono indicati una serie di luoghi: «Trauerhaus, Friedhofseingang, Friedhofskapelle oder Trauerhalle» (camera mortuaria, ingresso del cimitero, cappella del cimitero o aula del commiato); nella terza modalità invece il luogo della prima stazione è la chiesa stessa (il feretro si trova già in chiesa alcune ore prima della celebrazione e i membri della comunità porgono il loro ultimo saluto aspergendo la bara e sostando in preghiera). La casa non è mai contemplata. Questo è un caso di inculturazione non solo linguistica, testuale e rituale, ma anche e necessariamente spaziale che nasce dall’applicazione dei libri liturgici in uso.

Note

1. C. Calderan, In oder aus Südtirol?, in «Turris Babel» 80 (2009), 2.
2. C. Vignocchi, Et in Arcadia…nihil (et nemo), in «Turris Babel» 95 (2014), 110.
3. C. Calderan, Allargare i recinti, in «Turris Babel» 95 (2014), 15-19.

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