Trapani, le chiese scomparse
Storie di donne dalle carte d’archivio
Storie di donne dalle carte d’archivio
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Non è casuale la scelta di un percorso tra gli edifici sacri della Trapani di un tempo legato al femminile: santa Elisabetta, santa Margherita, santa Barbara, santa Lucia, santa Chiara, santa Maria Maddalena, ma molti altri nomi si potrebbero fare. Prima di essere sante sono state donne, hanno costruito nella Chiesa una storia al femminile. Sono state delle figure iconiche che hanno avuto e, per molti aspetti, hanno ancora un ruolo importante nell’immaginario popolare, come nel caso, in Sicilia e a Trapani, del culto di Santa Lucia.
La loro santità ha attraversato i secoli e ancora oggi può essere fonte di ispirazione: è nata dall’amore e si è fatta notizia della Resurrezione. La Chiesa cattolica, in cui il patriarcato è forte, è tuttavia l’Istituzione che più di ogni altra ha preservato la presenza, la storia e la memoria delle donne.
I monasteri, poi, hanno rappresentato un piccolo mondo al femminile, in cui religiose, converse, educande, commoranti dovevano vivere in un ambiente ristretto, allo stesso tempo dentro la città ma fuori dai percorsi della vita cittadina, con le difficoltà della vita di clausura. Donne custodi del sacro, ognuna con la propria storia di fede ma anche di dolore, di esclusione, di sottomissione a cui non erano estranei i giochi di potere che attraversavano la società cittadina. Scorrendo gli elenchi delle religiose troviamo molti nomi della nobiltà trapanese, le famiglie altolocate vi collocavano, non di rado senza vocazione, alcune delle loro figlie, pagavano le doti, sostenevano le spese degli istituti religiosi, intessevano intorno ai chiostri una rete di relazioni che inevitabilmente finivano con l’influire sulla differenziazione sociale ed economica dei monasteri e sulla costruzione del loro prestigio all’interno del territorio urbano.
È il caso del monastero di Sant’ Andrea o del Rosario, originariamente appartenente all’ordine Carmelitano e poi passato alle suore Domenicane per volontà delle nobili Sanclemente. Francesca Sanclemente o Santo Clemente, Baronessa di Inici e Mokarta, aveva donato al monastero oltre al fondo del Monte Inici anche una quota della tonnara di Scopello e il corredo per 12 fanciulle nobili ma povere che avevano deciso di ritirarsi a vita monastica. Le suore domenicane avevano acquistato l’area e la struttura dell’attigua chiesa di S an Bartolomeo e l’avevano inglobata nel perimetro del loro monastero. All’interno del convento avevano creato un giardino dove coltivavano gelsomini destinati alla vendita, probabilmente per la realizzazione di essenze profumate. Secondo alcune fonti le religiose producevano granite di gelsomini, la cosiddetta scursunera, con la neve che facevano trasportare direttamente dal possedimento di Monte Inici.
Dalle carte risuonano voci di donne messe a tacere dalla storia, oppresse, relegate ai margini. Tra le scritture del Reclusorio di Santa Maria Maddalena, che ospitava donne perdute, penitenti in cerca di riscatto ma anche fanciulle che venivano mantenute per sottrarle ad una condizione di miseria che inevitabilmente le avrebbe condotte verso il peccato, emergono il nome e la storia di Girolama Ciambra, che chiede alla Gran Corte Vescovile l’emissione di lettere citatorie contro il marito Vincenzo Greco per introduzione alla causa di divorzio. La donna si trova rifugiata nel Reclusorio per sfuggire le notorie inhumanita et dissolutezze del coniuge e non volendosi più assoggettare alla tirannide e alle sevizie e sopportarne li pubblici adulterii.
Altri documenti narrano di monacazioni forzate e di giovani donne che cercano disperatamente di riprendere la propria libertà. È questa la storia di Geronima Tipa e Celestina Verrini, monache del monastero di S. Chiara, costrette a prendere i voti dietro minacce e percosse dai rispettivi genitori e fratelli. Oggi il prezioso lavoro degli archivisti restituisce loro una voce e una storia.
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