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Gli argenti
Gli argenti
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Le più antiche testimonianze orafe del territorio diocesano provengono dal contado, da alcuni degli enti ecclesiastici che, come Livorno, sono stati compresi fino al 1806 nella Diocesi di Pisa. Si tratta prevalentemente degli arredi sacri impiegati per la liturgia eucaristica, calici e pissidi, elaborati a partire dagli anni Novanta del XVI secolo nell’ambito della codificazione di un nuovo linguaggio formale scaturito dalla Riforma Cattolica (Sala 2). L’arredo di più alta datazione certa è la pisside in rame dorato proveniente dalla chiesa di San Michele Arcangelo del Gabbro realizzata nel 1598 per cura di un possidente locale, Antonio del Matto. La stessa tipologia caratterizzata dalla base piana a sezione circolare, dal fusto con nodo a vaso e dalla coppa emisferica con coperchio ad incastro, qualifica la coeva pisside in rame dorato proveniente dalla chiesa di San Giuseppe di Nibbiaia nonché l’esemplare proveniente dalla chiesa di Santa Maria Assunta e Lorenzo di Castellanselmo realizzato, insieme ad una più piccola pisside da viatico, entro gli anni Trenta del XVII secolo su committenza dell’Arcivescovo di Pisa Giuliano de’Medici. Quest’ultimo arredo è una emblematica attestazione del remoto vincolo culturale e religioso intercorso tra le chiese del contado e Pisa, la sua chiesa e la sua nobiltà, come attestano il calice in metallo argentato e dorato commissionato nel 1599 dal nobile pisano Giulio Gualandi per la chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Colognole e il coevo vaso eucaristico in metallo argentato proveniente dalla parrocchiale di Castellanselmo recante, nell’iscrizione incisa sotto la base, l’esplicito riferimento alla chiesa di San Michele in Borgo di Pisa.
Il ricco patrimonio orafo sacro appartenuto alle chiese livornesi è stato notevolmente depauperato allo scadere del Settecento. Le riforme religiose promosse negli anni Ottanta del secolo dal Granduca Pietro Leopoldo e le forzose requisizioni messe in atto, dopo appena un decennio, dal governo francese in Toscana hanno impresso una decisa accelerazione al naturale processo di dispersione che da sempre affligge le suppellettili sacre impiegate per la celebrazione liturgica, soggette al reimpiego, a mutamenti dogmatici e di gusto e alla consunzione tipica degli oggetti nati per l’uso.
Firenze ha certamente rappresentato per il clero diocesano uno dei principali mercati di riferimento tra Sei e Settecento. Da qui proviene un calice pertinente alla chiesa dei Santi Giovanni Battista e Ilario di Rosignano Marittimo, contrassegnato dal punzone identificativo dell’argentiere fiorentino Antonio Mazzi titolare, tra 1706 e 1747, della produttiva bottega posta “all’insegna del gallo”. L’arredo, qualificato dal consueto repertorio decorativo affidato agli emblemi della Passione di Cristo compresi in cartelle risparmiate sul fondo granito, presenta un motivo ornamentale caratterizzante, tipicamente impiegato dall’artigiano entro il quarto decennio del Settecento: il tralcio di foglie finemente inciso a sviluppo continuo che ne profila l’orlo della base (Sala 2).
Fa parte del percorso museale un insieme discretamente nutrito di argenti liturgici di provenienza romana realizzati dalla prima metà del Settecento per la chiesa Cattedrale. All’argentiere Filippo Tofani, attivo a Roma tra 1735 e 1764, si ascrive un calice in argento caratterizzato dagli emblemi della Passione di Cristo resi in argento dorato e posti in cartelle risparmiate sulla base, sul sottocoppa e sul nodo a lampione del fusto (Sala 2). Accanto ad esso si espongono il vaso eucaristico elaborato nel nono decennio del XVIII secolo dall’argentiere romano Giuseppe Grazioli e due reliquiari in lamina d’argento realizzati tra quarto e quinto decennio del Settecento da Giuseppe Bartolotti, maestro argentiere romano operoso tra 1731 ed il 1775 (Sala 3). I due arredi, pertinenti rispettivamente alla Cattedrale e alla chiesa dei Santi Matteo e Lucia, corrispondono alla tipologia di “reliquiario ad ostensorio” affermatasi a Roma tra XVII e XVIII secolo per poi essere ampiamente diffusa negli altri centri italiani.
L’esenzione dai vincoli d’immatricolazione e, quindi, di punzonatura che riguarda gli argenti prodotti a Livorno tra il XVII e il XVIII secolo, rende estremamente difficile una sicura identificazione dei manufatti realizzati in ambito cittadino. Tra questi si segnala la coperta di Evangeliario in velluto cremisi e argento sbalzato, commissionata dalla confraternita della Madonna del Suffragio e Sant’Omobono nel 1749. Il prezioso fornimento di messale reca al centro di entrambi i piatti il medaglione ovale con l’emblema della compagnia e il punzone GG in campo lobato, presumibilmente riconducibile agli argentieri Giuseppe e Gaetano Giustiniani, esclusivi referenti della confraternita fra quarto e quinto decennio del Settecento (Corridoio d’ingresso, vetrina a sinistra). Soltanto a partire dal primo decennio dell’Ottocento, in seguito all’instaurarsi del regime napoleonide in Toscana e alla conseguente emanazione di un più rigido sistema di controllo riguardo la produzione in metalli preziosi, anche gli orefici ed argentieri livornesi ebbero l’obbligo di contrassegnare sistematicamente le proprie realizzazioni con un punzone personale utile, insieme ai necessari riscontri documentari, all’identificazione dei manufatti. Tra le diverse botteghe documentate, si distingue quella di Roberto Onorato Pini, particolarmente attivo per le chiese edificate e aperte al culto in città tra gli anni Quaranta e Cinquanta del secolo. Alla sua ampia ed eclettica attività si riconduce il fermaglio di piviale in argento dorato e pietre preziose elaborato nel 1854 per la chiesa Cattedrale (Corridoio d’ingresso, vetrina a sinistra). Frutto, invece, di un intervento di restauro da lui compiuto nel 1842 su di un manufatto realizzato a Firenze allo scadere del XVIII secolo è il reliquiario in argento e rame dorato proveniente dalla chiesa di Santa Maria del Soccorso, che ancora custodisce parte della reliquia della Santa Croce e altri frammenti sacri correlati alla Passione di Cristo (Sala 3).
L’esposizione museale comprende inoltre manufatti di particolare interesse ascrivibili ad importanti manifatture italiane e straniere e realizzati nel corso del XIX secolo. Fra questi si ricordano la stauroteca in argento elaborata entro il primo quarto dell’Ottocento dall’argentiere romano Gioacchino Belli (Sala 3) e la coperta di messale in velluto rosso e lamina d’argento consegnata nel 1829 dall’argentiere fiorentino Angelo Scheggi alla congregazione di Sant’Anna istituita presso la chiesa di San Jacopo in Acquaviva (Corridoio d’ingresso, vetrina a sinistra). Una significativa rappresentanza del nucleo di argenti di provenienza francese ancora pertinenti al Tesoro della Cattedrale è, infine, il servizio di ampolline in argento appartenuto al Vescovo di Livorno Raffaele De Ghantuz Cubbe (1834-1840), realizzato da una bottega attiva a Parigi nel terzo decennio del XIX secolo (Sala 4).
Alcune delle suppellettili sacre comprese nel percorso espositivo possiedono un particolare valore documentario poiché desuete e testimoni di antiche consuetudini rituali. Tra queste è la coppia di paci a tavoletta del 1705 proveniente dalla chiesa di San Jacopo in Acquaviva, preziosa sopravvivenza di uno strumento liturgico ormai caduto in disuso ed originariamente impiegato in sostituzione del bacio o dell’abbraccio di pace da scambiarsi prima della Comunione (Sala 5).
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