Canto e musica nelle processioni devozionali
Devozione e pietà popolare
Devozione e pietà popolare
Il canto e la musica nella devozione popolare hanno sempre avuto un posto rilevante quali strumenti per esprimere la lode a Dio e per celebrare con solennità le feste religiose più disparate. Hanno interessato pratiche non strettamente liturgiche, anche se collegate alla liturgia, che si esprimevano con una loro ritualità derivante dalla liturgia ma non liturgica nel senso stretto.
Possiamo definire – prendendo a prestito le parole del Direttorio su pietà popolare e liturgia del 17 dicembre 2001 – devozione e pietà popolare come “le diverse manifestazioni cultuali di carattere privato o comunitario che, nell’ambito della fede cristiana, si esprimono prevalentemente non con i moduli della sacra Liturgia, ma nelle forme peculiari derivanti dal genio di un popolo o di una etnia e della sua cultura”. Queste diverse manifestazioni si esprimono con “diverse pratiche esteriori (ad esempio: testi di preghiera e di canto, osservanza di tempi e visita a luoghi particolari, insegne, medaglie, abiti e consuetudini) che, animate da interiore atteggiamento di fede, manifestano un accento particolare della relazione del fedele con le Divine Persone, o con la beata Vergine nei suoi privilegi di grazia e nei titoli che li esprimono, o con i Santi, considerati nella loro configurazione a Cristo o nel ruolo da loro svolto nella vita della Chiesa”.
Lo sviluppo di queste forme racchiude un arco temporale molto ampio (schematicamente dalla fine del primo millennio ai nostri giorni) e interessa un’area geografica notevole (tutti i luoghi dove l’annuncio cristiano arriva). In questa sede ci limitiamo all’area italica e per accenni!
Il canto nella devozione popolare si sviluppa in modo decisivo nel momento in cui la liturgia si clericalizza e viene gradualmente a scomparire la partecipazione vocale del popolo ai riti liturgici ufficiali della chiesa in lingua latina. Teniamo presente che quando parliamo di canto popolare intendiamo sia il repertorio destinato al canto del popolo e sia l’atto popolare di appropriarsi e costruirsi melodie; fenomeno che ha i suoi inizi nel periodo dei Padri della chiesa, si sviluppa nell’età carolingia e si consolida dopo il primo millennio. Come le pratiche musicali che si svolgevano in ambito profano, anche il canto popolare (fatto dal popolo e per il popolo) a sfondo religioso-sacro ha sempre accompagnato, anche se in modo meno appariscente, il cammino di fede dei credenti, forse di più che la pratica musicale rituale (liturgica) ufficiale, che sappiamo essere stata sempre più gestita dal clero ed eseguita nella intangibile lingua latina.
La devozione popolare – che, musicalmente parlando, esprime una religiosità sincera, anche se un po’ rozza, molto emotiva e addirittura alcune volte istintiva – dispone sia di luoghi che di occasioni alternative alla ritualità pubblica e ufficiale: culto dei Santi, commemorazione dei defunti, feste del calendario locale, succedersi dei ritmi delle stagioni (rogazioni), riproposta in chiave narrativa e catechetica di avvenimenti biblici. Camminando parallelamente e alcune volte alternativamente al culto pubblico, il canto popolare, proprio perché creato dal popolo, è un insieme, per lo più inestricabile, di credenze, di superstizione, di atteggiamenti alcune volte dissacratori (la ‘messa dei folli’), accompagnato da qualche sconfinamento dottrinale e facili abusi; per questo non godrà in prima battuta dell’apprezzamento ufficiale dell’autorità ecclesiastica e sarà guardato con sospetto. Sappiamo, però, che è impensabile impedire al popolo di cantare; di conseguenza quando il popolo desiderava esprimere la sua religiosità era logico che si esprimesse anche col canto ed era altrettanto logico che il clero a diretto contatto col popolo (basso clero) ne facilitasse l’espressione, alcune volte anche diventando ‘compositore’ di canti adatti in lingua volgare.
D’altra parte, lo sviluppo di questo canto non va a scapito del canto ‘ufficiale’ della Chiesa, almeno di quello che poteva essere eseguito da tutta una assemblea: si continuano a cantare e a tramandare oralmente i più tradizionali inni, sequenze, salmi e antifone latine del repertorio gregoriano (Victimae paschali laudes, Dies irae, Libera me Domine, Lauda Sion, Tantum ergo, Stabat Mater, Ave Maris Stella), senza preoccuparsi delle eventuali storpiature del latino!
Determinante, però, una particolare situazione: mentre il canto ufficiale viene insegnato e tramandato, dopo una primitiva fase orale, anche per iscritto (nasce la scrittura musicale prima adiastematica poi diastematica), il canto popolare nasce dal basso, nelle parlate correnti e dialettali o in lingua latina in trasformazione e non ha potuto essere tramandato per il suo stato di oralità: la scrittura musicale (tardiva, difficile e piuttosto rara) si poneva a servizio solo di un’arte ritenuta ‘dotta’, vale a dire quella liturgica ufficiale!
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