Approfondimento
Sant’Antonino, patrono di Piacenza: un martire e la sua basilica
Sant’Antonino, patrono di Piacenza: un martire e la sua basilica
IL MARTIRE ANTONINO
Nell’Archivio della basilica di S. Antonino in Piacenza si conserva il Gesta Sanctorum Antonini, Victoris, Opilii et Gregorii PP. X (fine IX-inizio X secolo) che nella Vita sancti Antonini martyris Placentiae patroni et protectoris narra la storia del santo, ricordato da Vitricio di Rouen (fine sec. IV) e nel Martirologio Geronimiano.
Secondo quanto si tramanda Antonino, nato intorno al 270 – 275 d.C. in Egitto da genitori cristiani di ceto elevato, giunse a Piacenza intorno al 302-303 d.C. e venne in contatto con la comunità dei cristiani attiva localmente. La tradizione riporta che il santo fu catturato nei pressi di Travo, località della Val Trebbia dove subì il martirio per decapitazione nel 303. Si racconta che il suo corpo, trasportato da alcuni devoti a Piacenza, fu sepolto in un luogo ipogeo appena fuori dalle mura cittadine, dove ora sorge la chiesa di Santa Maria in Cortina. Il secondo vescovo di Piacenza, Savino, ne ritrovò le spoglie nel IV secolo grazie a un sogno premonitore. Le reliquie, traslate per sua iniziativa circa l’anno 388 nella basilica di San Vittore che poi prese il nome del martire, sono oggi conservate in un’urna sotto l’altare maggiore assieme a quelle del primo vescovo della città (322-357) cui la chiesa era dedicata.
L’ipogeo rinvenuto sotto la chiesa di Santa Maria in Cortina è ritenuto essere il primo sepolcro di Antonino “pressoché intatto, che con tutta probabilità aveva ospitato le spoglie del martire e la fiasca di vetro contenente il suo sangue” (Siboni 1971). Posto circa 6 metri sotto il livello attuale, conserva fievoli tracce di una decorazione a raggiera che lascia ipotizzare una antica destinazione cultuale e, nella parete frontale, un piccolo incavo forse destinato alla custodia dell’ampolla del sangue. Una parte è costituita da un grande masso che poteva essere ribaltabile per l’accesso al loculo.
Sant’Antonino, patrono di Piacenza, viene ricordato il 4 luglio, giorno cui si fa risalire l’anniversario del suo martirio, e il 13 novembre data che celebra l’invenzione delle reliquie da parte del vescovo Savino.
L’iconografia lo rappresenta nelle sue vesti di soldato romano, spesso a cavallo, con il vessillo recante lo stemma della città di Piacenza, un dado bianco su fondo rosso come nei due dipinti conservati presso la basilica omonima del XVI secolo.
LA BASILICA DI SANT’ANTONINO IN PIACENZA
Sul percorso urbano della via Francigena, è senza dubbio una delle chiese più interessanti e complesse di Piacenza sia dal punto di vista architettonico che dal punto di vista decorativo. Si tratta di un esempio di architettura romanica caratterizzato da una grande torre ottagonale, a lato, invece, vi è un chiostro del tardo Quattrocento. Venne costruita per volere di San Vittore, primo vescovo della città intorno al 350 e venne dedicata a Sant’Antonino, martire ucciso nei pressi di Travo, in Val Trebbia, poi divenuto patrono di Piacenza. La basilica accolse i delegati della Lega Lombarda e Federico Barbarossa per i preliminari della Pace di Costanza (1183).
La chiesa fu più volte danneggiata da incursioni barbariche e di conseguenza rimaneggiata. L’edificio attuale, che esemplifica lo stile romanico, risale pur se con modifiche all’XI secolo, sotto l’episcopato del vescovo Sigifredo; successivamente il lato nord fu arricchito dalla decorazione del portale marmoreo con le sculture del XII secolo, ad attestare il collegamento con la via Francigena e l’apertura verso la città. Il corpo settentrionale fu ulteriormente arricchito nel 1350 con la realizzazione dell’imponente “Porta del paradiso”, opera del piacentino Pietro Vago. Sul lato sud della chiesa, dal 1483 fu avviata la costruzione del mirabile chiostro, qualificato dall’eleganza delle colonne e dei capitelli in pietra scolpita, diversi per foggia e decorazione.
Nel 1495, all’interno, il primitivo tetto a capriate in legno fu sostituito da volte in stile gotico mentre dei secoli successivi sono varie aggiunte barocche. L’esterno della basilica fu sottoposto a notevoli modifiche che ne alterarono l’impianto originario, l’ultima ad opera dell’architetto Giulio Arata tra il 1915 e il 1930.
Nell’interno, diviso in tre navate da possenti pilastri, si conserva un raro gruppo quattrocentesco in terracotta policroma, raffigurante Gesù Crocifisso tra la Madonna e San Giovanni. Tra i dipinti si segnalano opere del Cavalier Ferrante e di Giovanni Maria delle Piane detto il Mulinaretto. Nella navata centrale i superbi intagli barocchi della cantoria, della cassa che incornicia l’organo Lingiardi e del controrgano sono del valsesiano Giovanni Sceti, detto il Romano (1702-1703).
PRESBITERIO E CORO
All’interno nello spazio del presbiterio, modificato dal 1562, sono di notevole interesse le decorazioni di epoca seicentesca. L’affresco della volta e quello nella lunetta del coro sono di Camillo Gavasetti (1624-1628) che lasciò in Sant’Antonino l’impresa più complessa della sua carriera, compiuta fra 1624 e 1628 grazie all’appoggio del cardinale Odoardo Farnese. Le teste giovanili nel grande affresco attestano scambi stilistici col Guercino, attivo nel 1626-1627 nella cupola della Cattedrale. Da ricordare anche le quattro grandi tele realizzate da Robert De Longe per presbiterio e coro, raffiguranti Scene della vita di Sant’Antonino (1693). Emerge la formazione romana del fiammingo attivo a Piacenza e assumono rilevanza emotiva gli effetti luministici. Delle tele con il Ritrovamento del corpo di Sant’Antonino e il Ritrovamento della testa del Santo esistono efficaci bozzetti preliminari nel Museo della basilica. Di spicco anche la pala con i Santi Antonino e Vittore e la reliquia della Sacra Spina esposta in coro, sempre dovuta al De Longe.
LA CAPPELLA DELLA CROCIFISSIONE
Al terzo altare a destra è esposto alla devozione un pregevole gruppo quattrocentesco in terracotta policroma. Raffigura Gesù Crocifisso tra la Madonna e San Giovanni; le antiche descrizioni della chiesa attestano che in origine apparteneva all’insieme anche la statua di Maria Maddalena, andata distrutta. Il corpo del Cristo è stato tagliato e riassemblato, pertanto oggi appare leggermente fuori asse. Le mani sono state rifatte in legno mentre la croce lignea, seppur originale, è stata ridotta alle estremità. La Vergine ha il volto sollevato, gli occhi rivolti al Figlio, mentre San Giovanni è presentato nell’atto di “distogliere il viso e lo sguardo dalla figura del Cristo, come ritraendosi dalla visione troppo dolorosa” (Ceschi Lavagetto 1998).
Per l’opera è stata proposta una datazione intorno al 1470-1480. In origine era collocata in una cappella dedicata alla Santa Croce; spostata poi nella cappella del SS. Sacramento vi rimase fino al 1877 circa, anno in cui è attestata in una cappella appositamente costruita, la terza della navata destra, da cui pervenne nell’attuale collocazione (a sinistra).
LA CAPPELLA DEL SANTISSIMO SACRAMENTO
Nel 1624 venne collocata nella cappella una pala raffigurante l’Ultima cena del noto artista genovese Bernardo Castello, commissionata l’anno precedente da parte della Congregazione del Santissimo Sacramento tramite Bernardo Morando, anch’egli di origini liguri e poeta di corte presso i Farnese.
L’assetto della Cappella del Santissimo Sacramento mutò completamente nel corso dei lavori di rinnovamento della stessa che si svolsero dal 1853 al 1857, periodo cui risalgono altare e ancona scultorea dovuti all’intagliatore piacentino Gaetano Guglielmetti su disegno del pittore Andrea Guidotti (1857).
Gli affreschi di gusto neogotico a girali, stemmi, fiori e animali fantastici sono coevi e furono realizzati nel 1857 da Bernardino Massari (1857). Di pregio è la pala settecentesca raffigurante Santa Francesca Romana in gloria di Giovanni Maria delle Piane detto il Mulinaretto: appartenuta alla Congregazione delle Dame di Santa Francesca Romana era collocata in S. Sepolcro a Piacenza ed è pervenuta dopo alcuni spostamenti. Si noti anche la pala con la Madonna e santi, dipinta dal Cavalier Ferrante per la chiesa di Santa Maria Maddalena in Piacenza nel 1644.
CANTORIA E CASSA D’ORGANO
Nel 1702 fu stilato il contratto per la realizzazione del monumentale complesso di cantoria e cassa d’organo. La straordinaria macchina lignea che incornicia l’organo Lingiardi si deve al valsesiano Giovanni Sceti (o Setti), attivo a Piacenza tra 1687 e 1715. L’opera si distingue per l’apparato scultoreo, il dinamismo delle figure angeliche e il fasto della doratura che ricreano le suggestioni barocche già proposte dall’artista nella cornice che racchiude la copia della Madonna sistina di Raffaello visibile in San Sisto a Piacenza (1698). Il poggiolo è sorretto da angeli a tutto tondo e riccamente ornato da un cartiglio con testa antropomorfa e festoni laterali. Rigogliosi elementi vegetali si snodano sulle lesene che delimitano lo strumento, recanti nella parte alta angeli che sorreggono la trabeazione modanata insieme a putti. Alla sommità della cassa, siedono Sant’Antonino, in abiti militari e col vessillo e San Vittore, primo vescovo della città
MUSEO CAPITOLARE
Ha sede in alcuni ambienti sopra la sacrestia e ospita manufatti legati alle vicende storico artistiche della chiesa, provenienti dalle cappelle smantellate durante i restauri del 1915-30 o appartenenti al tesoro basilicale. Di notevole interesse sono due dossali lignei ascritti al Maestro del dossale di Sant’Antonino: il primo, ascritto al 1425-1430, propone Episodi della vita di Sant’Antonino, il secondo risale alla metà del secolo XV e mostra Dio Padre benedicente con la colomba dello Spirito Santo tra sei profeti. Un più tardo dossale (1470-1480) di pittore piacentino non identificato reca la Crocifissione nello scomparto centrale e Sant’Agostino, San Gerolamo, San Gregorio e Sant’Ambrogio nei laterali. Tra gli altri dipinti si segnalano un Sant’Antonino (scuola lombarda, fine XV secolo) e una Natività di Maria (attr. Giulio Cesare Procaccini). Si conservano inoltre una Incoronazione della Vergine di Giovanni Battista Trotti detto il Malosso e due bozzetti di Robert de Longe, riferibili alle tele con storie della vita del Santo titolare che l’artista realizzò per il presbiterio della basilica nel 1693 (Ritrovamento del corpo di Sant’Antonino e Ritrovamento della testa del Santo).
Tra le suppellettili liturgiche esposte spicca il Reliquiario della Sacra Spina realizzato dal valente orafo locale Angelo Caccialupi nel 1641 e l’ostensorio raggiato dell’orafo tedesco Giuseppe Bauer (1717 – 1804), attivo a Roma e meglio noto in Italia come Agricola. Il museo ospita poi la brandazza, opera in metallo battuto un tempo impiegata nelle processioni del Corpus Domini, ascritta a manifattura locale del XVII secolo
Di primaria importanza sono i codici miniati, le pergamene e altre testimonianze in parte custodite presso l’Archivio Capitolare, il più antico della città, con documenti che datano al secolo VII.
DAI SOTTOTETTI ALLA TORRE OTTAGONALE
Dal museo si accedere, mediante un passaggio soprastante i mantici dell’organo, al sottotetto basilicale in cui si possono vedere stralci di affreschi medioevali databili tra XI e XII secolo (l’antica basilica era dotata di un tetto a capriate in legno che fu sostituito da volte in stile gotico nel 1495). In particolare, un dipinto murale raffigurante secondo alcune ipotesi il Giudizio Universale.
L’itinerario di visita prosegue con la salita alla torre campanaria ottagonale di grande fascino. Alta circa 40 metri si distingue per la inconsueta conformazione della pianta e per la sequenza delle bifore bianche che qualificano i lati, rendendola unica in quanto a suggestione visiva. Dalla sommità si può godere di un punto di vista privilegiato sulla città.
IL CHIOSTRO
Ettore De Giovanni (1930) ricorda a proposito del chiostro che fu costruito dal 1483 e che nell’Archivio Capitolare di Sant’Antonino si conserva il documento delle convenzioni fra i fabbricieri e “magistro Bartolomeo Caxalino et magistro Cristofaro Vecchio” per l’opera: nell’accordo si prevedevano lavori da svolgersi su di un chiostro preesistente e l’esecuzione di ventidue volte. Fonti successive attestano che dal 1523 furono sostituite le travature in legno con volte in muratura. Già restaurato durante i lavori del 1915-1930, curati dall’architetto Arata, l’armonioso chiostro è stato restituito ai piacentini in tutta la sua bellezza nel 2013, qualificato com’è dall’eleganza delle colonne e dei capitelli in pietra scolpita, diversi per foggia e decorazione; se ne ammirano con decori a foglie d’acanto, a caulicoli arricciati sugli angoli e con fiore centrale, a foglie d’acqua e di palma. In particolare il secondo capitello da sinistra verso la parete corrispondente è arricchito dal motivo a delfini, il settimo da sinistra da uno scudetto col vessillo di Piacenza.
Nelle abitazioni addossate alla basilica e al chiostro sul lato sud-est compaiono monofore e archi murati a conferma dell’antica edificazione: probabilmente appartenevano al complesso capitolare, dove era secondo le ipotesi situato un secondo chiostro legato a un ospizio dei pellegrini (fine XI secolo), se si tiene conto che la basilica è sul percorso urbano della Via Francigena (Fermi, 2008). Il lato sud del chiostro fu abbattuto per far spazio alla strada dei “Chiostri di Sant’Antonino”.
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