Fin dai testi biblici si attesta la preghiera vicaria per la salvezza dei defunti, anche quando sembrano persi perché peccatori (2 Mac 12, 44) o non ancora battezzati (1 Cor 15, 29). Per confermare i fedeli di Corinto nella fede nella risurrezione di Cristo Paolo cita esplicitamente l’uso di farsi battezzare da defunti. Come si offrivano preghiere e sacrifici per i cari defunti, così nell’esperienza cristiana si celebrava un battesimo “vicario”, cioè al posto del caro estinto, in sua “vece”.

L’usanza è attestata nel corso del Medioevo nei confronti di adulti defunti per i quali dei fedeli cristiani celebravano il battesimo alla presenza del cadavere defunto, rispondendo in sua vece agli esorcismi ed alla professione di fede. Anche per il battesimo dei bambini, non in grado di professare la fede, i padrini lo facevano a loro nome con piena validità del battesimo.

Con l’uso abituale del battesimo dei neonati, ma in contesti di precarietà di sopravvivenza al parto, si fece più frequente il caso di neonati morti prima del rito battesimale. Nel fervore della teologia scolastica si diffuse la dottrina del limbo, come luogo eterno ai bordi dell’inferno, pur senza le pene corporali, destinato in particolare per questi neonati morti senza battesimo.

Per evitare tale triste sorte eterna si ricorreva all’intercessione della Madonna o di santi, in particolari santuari, in cui ottenere la grazia di qualche segno di ripresa di vita momentanea, tale da permettere il battesimo. Questa usanza è attestata presso la chiesa della Madonna dei Boschi, durante la visita apostolica nel 1583, sulla testimonianza dei massari della cappella. Il visitatore vietò questa prassi sotto pena di una pesante ammenda.

La prassi ecclesiale post-tridentina previde il battesimo sotto condizione, con l’infusione dell’acqua unita alla semplice forma battesimale trinitaria, che poteva essere pratica da qualsiasi persona secondo l’intenzione della Chiesa.