L'Arte e la cultura parlano di comunità: Il Pellegrinaggio delle sette chiese nel Giubileo della Speranza
Chiesa della SS.ma Trinità (Santuario della Madonna Liberatrice)
Chiesa della SS.ma Trinità (Santuario della Madonna Liberatrice)
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La chiesa della Trinità era stata consacrata da papa Alessandro IV il 2 giugno 1258. Grazie ad un testamento datato 9 settembre 1296, il cappellano papale maestro Campano, ordina al suo erede di costruire, sul lato sinistro della chiesa, una cappella da dedicare a s. Anna, dove desiderava essere sepolto. Durante i lavori viene alla luce (o secondo alcuni studiosi viene realizzata) l’Immagine della Vergine che diviene presto un punto di riferimento. L’immagine si offre già ai fedeli di passaggio nella chiesa della Trinità per il Giubileo del 1300 ma sarà un avvenimento prodigioso avvenuto nel 1320, secondo il quale la Vergine salva i viterbesi da una paurosa apparizione di demoni, a dare alla cappella di s. Anna il titolo di cappella della Madonna e all’Immagine l’intestazione di Madonna Liberatrice.
Per il Giubileo del 1475, sull’altare maggiore della chiesa della Trinità, accoglie i pellegrini di passaggio un imponente Tabernacolo in marmo scolpito, opera di Pellegrino di Antonio da Viterbo, che raffigura nei pilastri: quattro angeli in adorazione e, nel coronamento: Cristo in pietà tra due angeli (nella lunetta), un fregio con teste di cherubini (nell’arco), due angeli con cartigli (nei pennacchi), datato 1461. Il tabernacolo viene smembrato nel 1727 in occasione della ricostruzione dell’altare, per essere poi trasportato al Museo (1870), al palazzo comunale e nella chiesa della Verità dove viene ricomposto (1912) .
Negli anni intorno al Giubileo del 1500 nel convento della Trinità è ospite Egidio da Viterbo che osserva come, con la fine dello scisma e il ristabilimento della concordia, la Chiesa, acquistando maggior gloria, ricchezza e potenza, era venuta però quasi a perdere l’antico prestigio morale, ed utilizzava il sontuoso esterno apparato di cui si rivestiva, per ricoprire le interne discordie. Sull’altare della cappella della famiglia Antonini nella chiesa della Trinità è posto un quadro che raffigura il card. Egidio con la sorella Pacifica.
Il card. Egidio da Viterbo, presente in città per aggregare il Convento della Trinità alla congregazione del San Salvatore di Lecceto (1502), si impegna nell’opera i pacificazione delle ostilità interne che laceravano Viterbo.
La città era stata chiusa da Alessandro VI perché turbata delle liti e per il territorio infestato dai banditi. Alla morte del pontefice, e grazie al lavoro del card. Egidio da Viterbo, si riuscirà a stipulare un patto che instaura la concordia tra i contendenti. Lo stesso Egidio scriverà che sotto questo pontificato “non si vide arridere mai un sol giorno di pace” e “giammai nelle città del dominio pontificio più immani furono le sedizioni, più frequenti le distruzioni, più cruente le stragi, più impunite le grassazioni sulle vie, più pericoloso il viaggio dei pellegrini”. Racconta la storia un lungo capitolo dedicato alla Cronaca della chiesa e convento della SS.ma Trinità inserito nel seicentesco codice manoscritto intitolato Catalogus episcoporum conservato nella Biblioteca del Capitolo cattedrale di Viterbo.
Negli anni del Giubileo del 1550 alla Trinità era appena stato aperto un Ospizio voluto da Filippo Neri presente a Roma durante questo Anno Santo insieme ad Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù. L’Ospizio era amministrato dalla Confraternita del Gesù fondata da Filippo Neri con lo scopo di accogliere e supportare i pellegrini che venivano da lontano.
Il Giubileo del 1600 è segnato da un evento rilevante: il 9 dicembre 1594 il cavaliere viterbese Giacomo Nini aveva dettato il suo primo testamento al notaio Rosino Pennacchi. Tra i legati destinava al Convento agostiniano della SS.ma Trinità 200 scudi “in dipingendo claustrum […] vita Sancti Augustini” il lascito sarà confermato nel 1601, il ciclo di affreschi sarà affidato nel 1606 al pittore romano Marzio Ganassini.
Nella chiesa aveva sede la Compagnia di S. Agostino, l’assistita da uno dei padri agostiniani col titolo di custode. Tra le relazioni della Compagnia il viaggio a Roma che i fratelli affrontano nel 1600 per ricevere il Giubileo.
“Del viaggio fatto a Roma per il giubileo fa fede il resoconto delle spese relative conservato in un libro della Confraternita di S. Agostino:
15 nov. 1600 elemosina di scudi 7 alla Trinità di Roma dove alloggiano i fratelli pel Giubileo.
Scudi 3,50 a Pierleone mulattiere per il carraggio per portare il Crocifisso e altre robe della Compagnia
Scudo uno ad Agostino della Cristofora per fare la spesa a un cavallo per portare a Roma le bale.
Scudi 17 e 30 per li lanternoni comperi in Roma” .
Al Giubileo del 1625 risale il maestoso portale di bugnato che consente di accedere al chiostro, eretto per volontà di Giacinto Ciofi, priore del convento e nobile viterbese.
Agli anni del Giubileo del 1650 è datato il quadro posto sull’altare maggiore, raffigurante sant’Agostino, santa Monica e la Santissima Trinità in atto di adorazione, opera del pittore romano Fabrizio Chiari, che si obbligò, il 7 luglio 1651, di dipingere il quadro per duecento scudi.
Il Giubileo del 1725 trova la chiesa ormai insufficiente ad accogliere i fedeli, e si decide la costruzione di un edificio più grande. Nella demolizione del vecchio tempio, prima di staccare l’affresco della Madonna Liberatrice per poi ricollocarlo in una degna dimora, viene chiamato il vescovo Sermattei che redige una accurata descrizione della sacra Immagine.
La consacrazione della nuova chiesa si tiene il 20 luglio 1750. Sull’altare della cappella della famiglia Chigi, racchiusa in una complessa macchina marmorea con colonne, capitelli e stucchi, è già collocata la pala d’altare di Vincenzo Strigelli datata 1740 raffigurante il Martirio di sant’Agata. Pietro Coretini definisce lo Strigelli allievo in Roma di Sebastiano Conca, questa risulta una tra le poche opere del pittore viterbese fino ad ora reperibili, come dimostra una certa acerbità giovanile.
Agli anni che precedono l’avvio del XIX secolo appartengono la preziosa statua raffigurante S. Rita da Cascia posta sull’altare della cappella a lei dedicata che era stata eretta nel 1795, E il quadro di Domenico Corvi, nella Cappella Bevilacqua, datato anch’esso 1795, che raffigura La carità ai poveri di san Tommaso da Villanova.
La chiesa e il convento, nel 1800, vengono dichiarati inagibili, perché quartiere delle truppe francesi che cacciano i religiosi. Saranno allontanati dal luogo sacro anche nel 1873 a causa della soppressione dei conventi e dovettero consegnare i libri della comunità religiosa al sindaco della città che li conserverà nella Biblioteca civica.
Il Giubileo del 1900 vede finalmente gli Agostiniani ritornare nella loro casa. Chiesa e convento erano stati riacquistati dallo Stato italiano soltanto l’anno precedente (1899).
A questi anni risalgono gli affreschi delle vele, opera di Giuseppe Toeschi, che le realizza nel 1897 e raffigurano i santi Agostino, Ambrogio, Girolamo e Gregorio.
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