Il culto nell’ecclesia cittadina
Il canto gregoriano
Il canto gregoriano
Il canto gregoriano
Il canto gregoriano è da considerare il canto per antonomasia della Chiesa e della sua liturgia. Sarebbe, infatti, riduttivo considerare il canto gregoriano solo come un elemento musicale dentro la liturgia, esso è forma musicale della liturgia. Si tratta, cioè, di un corpus musicale unico che travalica i confini storici per divenire in un certo senso, metastorico. Se, infatti, il cosiddetto ‘fondo autentico’ del gregoriano nasce tra il IV e l’VIII secolo innestandosi su materiale musicale dei primi tre secoli del cristianesimo, è pur vero che ogni celebrazione aggiunta al calendario liturgico veniva corredata di composizioni che potevano essere prese a prestito da altre celebrazioni, ma che, quando erano composte ex-novo, venivano confezionate rispettando, pur qualche volta con diseguale risultato, le caratteristiche compositive proprie del gregoriano. Un’operazione che a noi forse pare strana e tacciabile di accademismo, ma che dice la volontà di attenersi ad un modello ben preciso, ad un sound particolare, ad un «canto proprio».
Inserito nei libri liturgici ufficiali quindi, il gregoriano è divenuto non più espressione musicale di un dato periodo storico, ma canto della liturgia della Chiesa.
Si tratta, in secondo luogo, di un corpus musicale che travalica i confini culturali per divenire metaculturale. Esso ha alla base della sua evoluzione musicale-modale alcuni suoni e intervalli che appartengono a tutte le culture del Mediterraneo e del Medio Oriente, utilizzati da queste culture quando esse vogliono far entrare nella dimensione del sacro una determinata espressione musicale. Qui sta la vera radice della musica sacra. Sono elementi ancestrali che toccano particolari corde di risonanze spirituali ed emotive e che ritroviamo nel nostro ‘subconscio’ musicale e religioso. Non si tratta, pertanto, solo di testi sacri rivestiti di una qualsivoglia struttura melodica, ma di testi resi musicalmente ‘sacri’ per mezzo di particolari suoni ed intervalli, adoperati in modo esclusivo e capaci di evocare un mondo musicalmente ‘altro’ da quello quotidiano. Il gregoriano appartiene a questo genere di musica; in esso e per mezzo di esso si è trovata a nascere e a costruirsi la liturgia della Chiesa.
I libri liturgici musicali
Il libro liturgico musicale, soprattutto intorno al IX sec., è un repertorio di riferimento per persone che dovevano già conoscere a memoria i canti e necessitavano soltanto di una conferma per circa il pezzo da eseguire. I segni (neumi) con cui si fissavano le note, a quello stadio di scrittura non permetteva il riconoscimento dell’altezza precisa delle note e, quindi, della melodia, ma indicavano solo l’interpretazione ritmica. Del resto – come nell’antichità – la musica era tramandata per via orale, da maestro a discepolo solo attraverso un paziente e lungo apprendistato.
Solo successivamente, si inventò un sistema per definire melodia ed intervalli e la scrittura divenne dapprima diastematica e nell’XI secolo sfociò nella più precisa notazione quadrata, che ancora oggi caratterizza la trasmissione del repertorio gregoriano.
All’inizio la notazione si svolgeva dunque in campo aperto, poi su una singola linea tirata a secco orizzontale e quindi su due linee colorate, una rossa indicante la chiave di FA e una gialla, indicante la posizione del semitono superiore: il DO quando c’è il SI naturale o il SI bemolle quando il SI è abbassato. Guido d’Arezzo nel suo “Regulate de ignotu cantu”, poco dopo l’anno Mille, consigliò l’uso di tre o quattro linee. Quest’ultimo sistema, tetragramma, fu appunto quello adottato e conservato come rigo tradizionale per la notazione nel canto gregoriano.
Va inoltre ricordato che i libri liturgici musicali hanno proprie tipiche abbreviazioni, che diventano maggiormente comprensibili se si conosce bene l’impianto celebrativo che si consolida a cerchi concentrici: dall’anno liturgico, al giorno celebrativo, all’azione, al formulario, al singolo brano. La lettera ‘a’ va interpretata in base alla sua collocazione. All’inizio di un brano o prima dello stesso indica un’antifona; all’interno o alla fine di un pezzo sta per alleluia; alla conclusione di un testo indica amen. O ancora l’acronimo spesso utilizzato al termine delle antifone EVOVAE, sopra cui è posta la melodia conclusiva del tono salmodico, indica le vocali delle parole finali del Gloria Patri= saeculorum amen.
Tra i libri destinati al coro, con parti cantate, si distinguono principalmente quelli utilizzati per la celebrazione eucaristica (Graduali) e quelli per l’ufficio delle ore (Antifonari). La Messa prevede a sua volta l’Ordinarium, caratterizzato da Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei e Ite Missa est o Benedicamus Domino e il Proprium contenente Introito, Graduale, Alleluia o Tratto, Offertorio e Communio. La liturgia delle ore si suddivide invece nelle otto ore canoniche: mattutino (a partire dalle 2 di notte), lodi (al sorgere del sole), prima (alle 6), terza (alle 9), sesta (alle 12), nona (alle 15), vespri (al tramonto), compieta (prima del riposo). Le tre ore maggiori sono Mattutino, Lodi e Vespri. Nella liturgia delle ore troviamo antifone, salmi, responsori, inni e cantici. Vi sono anche gli Innari, che sono i libri che contengono esclusivamente gli Inni per l’ufficio dell’anno liturgico e spesso si integrano ai salteri.
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