La Cattedrale di San Lorenzo martire a Viterbo

Abside e Coro

Abside e Coro

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Nel 1490 il vescovo Sèttala fece demolire il vecchio Coro ed il presbiterio per ampliare o spazio della navata centrale ed anche il vescovo Gualterio, nel 1560, apportò modifiche all’abside maggiore per realizzare una tribuna per i canonici.

L’altare maggiore vecchio, che si trova nel Cappellone, è nominato nel 1622 sub baldacchino in pietra e, ai tempi del vescovo Brancaccio, nella metà del Seicento, presentava un enorme tabernacolo in legno dorato. Nel 1646 si dice con mura laterali e decorato dal vescovo Gambara. Sarà il card. Urbano Sacchetti (1683-1699) a far trasferire l’altare maggiore sulla parete di fondo. Sarà il card. Pianetti, nel 1857, a rifare l’altare maggiore [Galeotti].

Sopra il vecchio Altare maggiore è il quadro raffigurante san Lorenzo in estasi commissionato dal cardinal Francesco Maria Brancaccio nel 1641 ed eseguito a Viterbo nel 1648 dal concittadino Giovan Francesco Romanelli (1610 c.- 1662) al ritorno dal primo viaggio a Parigi. Sostenne le spese Clelia Tignosi con cento scudi [Galeotti]. Secondo altri il dipinto appartiene al periodo tardo del Romanelli, compreso tra il 1658 e il 1662 [Pampalone]. Al di sopra del quadro, in un cartiglio, sono dipinte le parole “Superari charitas Christi / fiamma non potuit” [Galeotti].

Di contro uno sfondo architettonico si situa la figura del Santo inginocchiato, in atteggiamento estatico con gli occhi rivolti al cielo e con la palma nella mano destra. Dall’alto scende un angelo a porgere la corona. Puttini posti in alto in volo completano le parti vacanti.  È un esempio piuttosto notevole della pittura del Romanelli che in questa opera fa sfoggio di un linguaggio più espressamente barocco, altre volte contenuto nella sua produzione. Anche nel trattamento del panneggio, come disposizione e tecnica cromatica, c’è un richiamo abbastanza evidente ai modi di Pietro da Cortona. La pennellata fluida, sciolta ma corposa del panneggio trova addirittura un riscontro nell’angelo custode di Pietro Berrettini (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica). Complessivamente, il taglio della composizione, l’atteggiamento della figura del Santo realizzano un insieme che ben si accordava al luogo per il quale il dipinto era destinato: infatti, posto nell’abside, al termine dell’asse longitudinale della chiesa, assolveva la funzione di fondale scenico sull’altare del coro [Pampalone].

Il catino absidale è decorato da un dipinto raffigurante Cristo in gloria tra angeli e santi attribuito a Giuseppe Passeri. La decorazione segue l’andamento del catino. In basso, a mo’ di base compositiva, sono disposte varie figure di santi e sante frammiste a puttini, sorretti da nubi. Un po’ più in alto è il Cristo benedicente seduto su un trono di nubi, circondato da un coro angelico che si conclude nella zona più alta del catino a m’ di sfondo infinito alla figurazione. Stranamente le fonti tacciono circa l’autore della decorazione, ma il pittore si dimostra artista non mediocre, seppure non esula da schemi compositivi e decorativi tradizionali. Su uno schema di stampo classicistico in cui le glorie angeliche non scardinano i limiti dello spazio celeste, il pittore imposta un linguaggio decorativo romano non privo di effetti personali [Pampalone].

Il  Coro fu ingrandito ed ornato grazie ai proventi legati al prodigio del Salvatore del 1442 [Signorelli].  La tribuna o Coro è nominata nel 1551 per decidere se realizzarla in pietra, in tufo o in laterizio. Nel 1560 fu fatta ricostruire dietro l’altare maggiore dal vescovo Sebastiano Gualterio, alla cui spesa partecipò il Comune con duecento scudi [Scriattoli]. Di un nuovo coro si fa menzione nel 1576 dando l’appalto a Finiziano di Gradoli che lo avrebbe dovuto realizzare di color nero, con un leggio bellissimo come quello della chiesa di S. Maria in Gradi. La disposizione di tale opera fu data dal vescovo Carlo Montigli (1576-1594). Sarà Urbano Sacchetti a far ampliare, nel 1683, il bel coro dei canonici di ventotto ordini di posti, a doppia fila, distruggendo i muri affianco dell’abside maggiore. A sinistra, dove il coro assume una forma più sontuosa, è scolpito nel legno lo stemma del Sacchetti [Galeotti]. Gli stalli del Coro, datati tra il 1683 e io 1699 sono in legno di noce scolpito e intagliato. Semplici ma raffinati i seggi distinti da singoli dossali dalla linea ondulante. Si innalza sopra l’alto dossale liscio e listato da sottili cornici. Ogni specchio di dossale è separato dall’altro da una lesena addossata coronata da una mensoletta con conchiglia sulla quale si imposta un’altra mensola a fogliami. Al di sopra un cornicione aggettante. Lo stemma del card. Sacchetti è apposto sul fregio del coro. È un buon lavoro, di fattura semplice ma raffinata [Pampalone].

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