Il Museo Oratorio San Rocco a Trapani. Un luogo, un'idea, un'esperienza

L’antica chiesa di San Rocco

L’antica chiesa di San Rocco

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Tutto ciò che sappiamo sull’antica chiesa di San Rocco è stato possibile ricostruirlo quasi esclusivamente attraverso fonti archivistiche e, in parte, bibliografiche.

Nella seconda metà del Cinquecento la Compagnia degli Scalzi costruì il convento di Martogna, dedicato a S. Maria degli Angeli. L’insediamento dei terziari a Martogna, alle falde del Monte Erice, su terreni donati dal nobile trapanese Giacomo Fardella aveva già consolidato un primo impianto francescano, di eremiti scalzi, iniziato dal padre Giacomo da Gubbio, che i venti contrari avevano sbalzato nel porto di Trapani mentre navigava diretto a predicare agli infedeli, al tempo del ritorno dell’Imperatore Carlo V da Tunisi.

In occasione di un’epidemia di peste scoppiata a Trapani nel 1574, alcuni frati del convento di Martogna, guidati da Michele Burgio, che era stato a sua volta seguace e compagno di fra’ Giacomo da Gubbio, si stabilirono in città per soccorrere i malati.

«Mentre in Trapani la peste si incrudeliva, diventò tutta la cittadinanza devota generalmente di san Rocco, come custode e protettore che è di tutti coloro i quali cordialmente invocano presso a Dio la sua intercessione per la liberazione di così fatto male», così riferisce Giovan Francesco Pugnatore, autore di una Storia di Trapani del XVI secolo.  I religiosi furono accolti presso un oratorio costruito dal nobile Berardo XIX di Ferro e dedicato a S. Rocco, protettore contro la peste, donato all’ordine con l’intesa che non cambiasse il titolare e che servisse da cappella gentilizia per la sua famiglia. Pian piano i frati ingrandirono l’originario oratorio e vi costruirono la loro chiesa, cui era annesso un piccolo convento. Nell’epoca in cui il Pugnatore scrive, il 1595, chiesa e convento erano ancora da completare. Interessante sapere che nel 1574 durante lo scavo delle fondazioni della chiesa di S. Rocco, vennero ritrovate due colonne con iscrizioni in caratteri cufici, il  tipo più antico di scrittura araba. Tali colonne, databili alla fine dell’XI secolo, e provenienti da antichi fusti di colonne di epoca romana rilavorati, tra le pochissime tracce dell’antica città araba e probabilmente parte di un complesso denominato “palazzo dell’Emiro”, rimasero collocate nella chiesa di San Rocco sin quando fu fondata la Biblioteca Fardelliana, nel 1830: da allora le colonne furono inserite nella sala di lettura, munite di basi e di capitelli del XVI secolo, dove è possibile ammirarle ancora oggi.

La chiesa fu ricostruita ex novo tra il 1766 e il 1770, secondo il disegno dell’architetto sacerdote don Paolo Rizzo, regio cappellano e curato del Castello Reale di Trapani. Le  12 colonne rosse della navata principale vennero ricavate dal marmo estratto nelle cave del feudo di Castelmonaco, di proprietà del Monastero domenicano della Badia Nuova.

Base e capitello erano realizzati in «pietra bianca detta delli scurati o sia rizzuto». Secondo quanto raccontano le fonti, era dotata di vari altari e cappelle e di tre porte, una, quella maggiore, ad oriente, punto da cui ancora oggi si accede all’edificio, una sul piano dell’antico ospedale a sud, una a nord.

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