Il Beato Don Giuseppe Beotti: carità e sacrificio
Il martirio di Don Beotti: i tedeschi e le rappresaglie a Sidolo
Il martirio di Don Beotti: i tedeschi e le rappresaglie a Sidolo
Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’Appennino Parmense, con la sua conformazione montuosa e la fitta rete di boschi, divenne un cruciale baluardo per la Resistenza partigiana.
Per otto mesi, dalla tarda estate del 1944 alla primavera del 1945, il fronte si arrestò sulla Linea Gotica, il sistema difensivo realizzato dai tedeschi per fronteggiare l’avanzata degli alleati lungo la penisola: una fitta rete di fortificazioni che tagliava in due l’Italia da Massa a Pesaro e che si modellava per oltre 300 chilometri sulla morfologia del territorio, dai crinali appenninici fino alle terre pianeggianti del litorale adriatico, con un complesso sistema di campi minati, reticolati, fossati anticarro, trincee e bunker.
Nell’estate del 1944 si segnalavano forti concentramenti partigiane negli Appennini che eseguivano operazioni di sabotaggio, in contatto con le truppe alleate che fornivano inoltre i collegamenti radio necessari affinché le operazioni partigiane potessero essere coordinate con quelle delle truppe regolari, e diedero appoggio nell’addestramento dei partigiani con l’istituzione di vere e proprie scuole per insegnare il corretto utilizzo di esplosivi e le tecniche di demolizione.
I partigiani intervenivano sui rifornimenti, rallentandone o impedendone il proseguimento, con rapide azioni, lungo la via Emilia, sulla ferrovia Milano-Bologna, sul passo della Cisa e sulla ferrovia Parma-La Spezia. Concluse le azioni, riparavano sulle montagne per nascondersi e rifornirsi. Queste attività preoccupavano fortemente le truppe tedesche e culminarono in un’imboscata, tra il 10 e l’11 luglio in cui rimasero sul campo circa settanta soldati tedeschi.
Immediata e brutale fu la reazione da parte delle forze tedesche e delle loro milizie collaborazioniste, traducendosi in una serie di rappresaglie sanguinose che segnarono profondamente il territorio e la sua popolazione.
Nei giorni seguenti un grande movimento di truppe, provenienti dalle zone circostanti invase la montagna piacentina e lì si accampò.
I nazisti adottarono una politica di terrore, con l’obiettivo di stroncare ogni forma di resistenza e di punire severamente la popolazione civile, spesso accusata di fornire supporto ai partigiani. Villaggi isolati, cascine e singole abitazioni vennero rastrellati, saccheggiati e incendiati. Uomini, donne e persino bambini furono vittime di fucilazioni sommarie, deportazioni e violenze inaudite.
Tra gli episodi più tragici si ricordano eccidi e stragi che colpirono intere comunità, lasciando dietro di sé un’eredità di dolore e distruzione. Queste rappresaglie non erano eventi isolati, ma parte di una strategia sistematica volta a terrorizzare e piegare la volontà della popolazione. Nonostante l’efferatezza di queste azioni, la Resistenza nell’Appennino Parmense non si piegò, continuando a combattere per la libertà e contribuendo in modo significativo alla liberazione del Paese.
In questo clima di terrore e sacrificio si svolsero i fatti di Sidolo. Don Beotti trascorse la sera del 19 luglio 1944 dando riparo e sfamando un gruppo di fuggiaschi provenienti da Borgotaro, inseguiti dai tedeschi. I Tedeschi giunsero il giorno dopo da Strela, dove avevano compiuto una strage in cui era rimasto ucciso anche il parroco Don Alessandro Sozzi e il misisonario padre Don Umberto Bracchi. Don Beotti era stato avvistato sul sagrato con i sei fuggiaschi e con il parroco di Porcigatone, Don Francesco Del Nevo e il giovane Italo Subacchi, chierico. Avevano esposto un lenzuolo bianco nell’intento di far comprendere che non vi erano partigiani armati tra loro, ma i tedeschi interpretarono diversam
ente il segnale e invasero la zona.
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