Giovanni Battista Scalabrini: un vescovo santo, da Piacenza al mondo
Scalabrini Vescovo di Piacenza e la sua Cattedrale: i restauri
Scalabrini Vescovo di Piacenza e la sua Cattedrale: i restauri
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Sul finire del XIX secolo la Cattedrale di Piacenza dava segni di cedimento e pertanto il vescovo con la lettera aperta Pel nostro duomo (9 febbraio 1894) annunciò l’avvio dei restauri, per motivazioni religiose, estetiche, morali e sociali, in un contesto dove la crisi lavorativa aveva colpito duramente.
Il vescovo fu presidente della Commissione che guidò il cantiere secondo canoni positivistici ottocenteschi e viollet-leduchiani. La Direzione tecnica, nominata nel marzo 1894, era composta dagli ingegneri Giuseppe Manfredi (poi ritiratosi) e Guglielmo Della Cella (morto nel 1896) e dall’architetto Camillo Guidotti. Iniziato nel 1898 col restauro della facciata, il cantiere si estese a tutta la struttura e si concluse nel giugno 1901, portando alla “liberazione” dei prospetti con eliminazione dei corpi addossati e al consolidamento complessivo.
Il Guidotti, guardando alle innovazioni tecniche del tempo, delineò il metodo negli “Studi e proposte” per il Duomo (1895): ... quando siavi il tipo vecchio da riprodurre o da imitare, rifacendo conci o parti distrutte o non ultimate… converrà che le parti nuove sieno lasciate nella loro tinta naturale, e di più sarà bene contraddistinguerle con segni certi, affinché i posteri non abbiano ad essere tratti in inganno. Quelle aggiunte poi o modificazioni, che sono state introdotte nell’edificio, potranno essere conservate… fino a che non abbiano a svisare o mascherare manifestamente parti notevoli del monumento, ché in tal caso dovranno essere rimosse o distrutte.
In facciata si consolidò il rosone sostituendo la ghiera centrale, si restaurarono le gallerie mediane laterali e superiori con permuta di colonnine, basi e capitelli; si ripararono le lastre di copertura del timpano. Rimosso il quadrante dell’orologio, si cambiarono le lastre di arenaria di rivestimento corrose. Il protiro centrale fu rimaneggiato, eliminando i rifacimenti attuati dal XV secolo. La loggia fu abbassata, la balaustra barocca demolita, la statua lignea dell’Abbondanza rimossa (è in vescovado), le colonne inferiori modificate e i capitelli sostituiti con quelli nuovi degli Evangelisti, opera di Pier Enrico Astorri come le formelle sul fronte del protiro con Fede, Speranza e Carità.
Per il ripristino scultoreo Guidotti effettuò perizie sui materiali per utilizzarne di simili, inserì copie nell’impossibilità di saldare pezzi staccati, completò manufatti parzialmente danneggiati su base analogica, inserì tasselli in elementi originali, creò opere di fantasia in assenza di testimonianze originali, come per fronte della cripta e pulpito. I manufatti disegnati dal Guidotti furono eseguiti da Fedele Toscani, Giovanni Pagani, Pier Enrico Astorri, Annibale Monti e dallo scalpellino Pietro Spelta.
Nel portale centrale fu inserito un architrave dell’Astorri su disegno di Guidotti con i Miracoli di Cristo, fu distrutto l’affresco trecentesco della lunetta, sostituito con la Madonna assunta tra i Santi Antonino e Giustina (1900) di Eugenio Cisterna. In corrispondenza del contrafforte destro, sul fronte e sul fianco sud della Cattedrale, si aggiunsero sculture di Antonio Marina (Madonna Immacolata e Profeta seduto), sormontate da baldacchino. Nel fianco nord, demolita la Loggia della Cancelleria, furono ricostruite le loggette, tranne la prima in controfacciata; al posto di tre colonnine furono collocate le statue di Giovanni Battista Scalabrini, Carolippo Guerra e Camillo Guidotti (ditta Monti, 1901).
Il portale su via Guastafredda, modificato nel 1720 per realizzare il collegamento con il palazzo vescovile, fu ripristinato sostituendo i leoni stilofori originari con altri acquistati dall’antiquario Rambaldi di Bologna (1902). Nelle absidi la finestra centrale fu ripristinata attuando sostituzioni e aggiungendo due mascheroni laterali.
All’interno della cattedrale, ricostruite le prime quattro volte della navata centrale e alcune delle minori, riaperte le antiche scale per sottotetti, triforii e matronei, la cripta fu arretrata secondo l’ingombro originario e dotata di fronte disegnato dal Guidotti.
Asportati altari e ancone, fuono rimossi gli stucchi e gli affreschi di Ludovico Carracci e Camillo Procaccini dal santuario con la tecnica dello strappo dai fratelli Steffanoni di Bergamo e, questi ultimi, furono ricoverati nel palazzo vescovile, nell’intento di ripristinare l’aspetto medioevale. Gli affreschi di Marc’Antonio Franceschini, rimossi dagli spazi preludenti alla galleria della cupola, andarono in gran parte perduti.
Durante il cantiere furono riscoperti dipinti murali medievali (San Cristoforo, San Giorgio, Sant’Antonino nel braccio sinistro del transetto e le Storie della vita di San Martino e Sant’Alessio nelle cappelle laterali al presbiterio, in cui Luigi Morgari aggiunse immagini).
Vennero commissionati dipinti murali medievaleggianti a Eugenio Cisterna: nel 1903 raffigurò i Santi vescovi piacentini nell’absidiola sinistra del transetto corrispondente e ornò l’abside centrale della Madonna del Popolo.
Alfredo Tansini decorò l’absidiola a destra con la Sacra Famiglia (1901).
L’altare neomedioevale, su disegno di Guidotti, fu realizzato da Toscani come quello del transetto destro. Al Cisterna, cui è riferito anche il Buon Pastore sopra il portone per il vescovado, si devono anche gli ornati di absidiole e cappella centrale del transetto destro con Sante e Santi legati al SS. Sacramento e con il Trionfo dell’Eucarestia nella volta (1901).
Alcuni bozzetti presso la casa madre degli Scalabriniani sono proposte preliminari di questi noti decoratori dell’epoca.
In presbiterio, demolito il prolungamento seicentesco e individuato il perimetro originario, Guidotti progettò il ripristino in aderenza alla sua visione del Medioevo. Fedele Toscani approntò gli amboni e il pulpito marmoreo.
In seguito fu posto l’organo di Giovanni Tamburini da Crema con alcune canne del Serassi (1818). Giovanni Vecchia, autore dei confessionali neogotici, modificò il coro ligneo di Giovanni Giacomo Genovesi (1466) e pose mano a parti del polittico di Antonio Burlengo e Bartolomeo da Groppallo (1443-1447), spostato in santuario dalla controfacciata.
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