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Architetture e progetti ecclesiali contemporanei: la diocesi di Bolzano-Bressanone
Architetture e progetti ecclesiali contemporanei: la diocesi di Bolzano-Bressanone
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Lo studio delle chiese della diocesi di Bolzano-Bressanone pone colui che desidera studiarle di fronte alla complessa storia, politica, ecclesiale, culturale e sociale, di un territorio noto per essere un punto d’incontro tra mondi differenti.
Lo studio delle architetture di questo territorio è dunque paragonabile all’osservazione di un tessuto lungo e stretto in cui la trama, composta da tre fili, architettura, arte e liturgia, attraversano l’ordito costituito da un insieme di molti fili che sono: la storia politica, ecclesiale, sociale, le culture, le lingue, le tradizioni. Senza la lettura di questo ordito unico non saremmo in grado di apprezzare il tessuto nella sua interezza: vi sarebbero sfilacciature. Alcune questioni sono così specifiche e non sempre conosciute che risulta necessario dare almeno qualche cenno. La prima questione è quella dei confini: confini di Stato, della provincia e della diocesi perché anche quelli di quest’ultima, fino al 1964 non coincidevano, come oggi, con quelli della Provincia autonoma di Bolzano e la diocesi di Trento comprendeva Bolzano e il territorio fino al confine. La diocesi di Bressanone dovette infatti cedere, dopo l’annessione del Tirolo meridionale all’Italia, la porzione del suo territorio che si trovava oltre il Brennero dove fu eretta l’amministrazione apostolica di Innsbruck-Feldkirch. Con il trattato di Sanit-Germain, 10 settembre 1919, fu dato all’Italia tutto il Tirolo a sud del Brennero. Questo «per i tirolesi di lingua tedesca fu una catastrofe di enormi proporzioni, che non solo distruggeva l’unità del corpo politico costituitosi più di sei secoli prima, ma minava l’identità stessa di un popolo che dell’Einheit [unità] aveva fatto la sua essenza» (1). Dopo la formazione del governo Mussolini e lo scioglimento del Commissariato civile e delle consulte per le nuove province, ogni possibile prospettiva di autonomia fu del tutto smorzata. La seconda grande questione, molto complessa, è di conseguenza quella delle lingue e delle culture locali: quella tedesca, quella italiana e quella ladina. Il teorizzatore e fautore dell’italianizzazione forzata nel Ventennio, anche se non fu esente da pesanti critiche degli stessi prefetti fascisti, fu Ettore Tolomei che non risparmiò nessun ambito: scuola, economia, associazionismo cattolico, formazione del clero, architettura, arte, toponomastica.
La città di Bolzano negli anni del Ventennio fascista può essere definita il «cantiere dell’italianizzazione» (2) della provincia che, tra l’altro, era stata appena istituita (1927). Il Piano regolatore del 1935 aveva un obiettivo del tutto particolare da mettere in opera: lo spostamento del «”baricentro” della vita cittadina dal vecchio nucleo “tedesco” e medievale alla nuova Bolzano “italiana” e moderna» (3). Gli architetti che operarono a Bolzano furono Marcello Piacentini, Adalberto Libera, Francesco Mansutti, Gino Miozzo. Il monumento simbolo del regime fascista a Bolzano è il Monumento alla Vittoria costruito nel 1928, dell’architetto Marcello Piacentini, in cui operarono gli scultori Adolfo Wildt e Arturo Dazzi e il pittore Guido Cadorin. Dal dopoguerra fino a oggi è stato oggetto di forti polemiche tra cui anche la richiesta di una sua demolizione. Seguirono alcuni anni nell’immediato dopoguerra, nel campo dell’arte e dell’architettura, di forte attaccamento alla tradizione da parte della popolazione di lingua ladina e tedesca come reazione all’oppressione e divisione perpetrate dal ventennio fascista. Questo ebbe come esito un certo provincialismo accompagnato da altrettanta diffidenza nei confronti delle nuove istanze. Ma non durò a lungo. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta furono costruite scuole, municipi, chiese, cimiteri, sedi di associazioni. La profonda consapevolezza che l’architettura, oltre che essere uno strumento di controllo del paesaggio in un ambito così delicato, è anche uno strumento in grado di determinare profondamente la qualità sociale e culturale di una regione già apparteneva al sentire delle comunità e delle amministrazioni. Possiamo intravedere in Othmar Barth, architetto brissinese (1927-2010), una figura guida nel rinnovamento dell’architettura e dell’urbanistica sudtirolese e non solo. Ebbe la capacità di introdurre nel contesto alpino una «rigorosa modernità, dove lo stretto rapporto tra forma, struttura e luogo definisce il senso profondo del progetto» (4). Fu influente docente presso la facoltà di architettura di Innsbruck in cui si formò la maggioranza degli architetti sudtirolesi e questo determinò positivamente il futuro dell’architettura e dell’urbanistica della provincia. Anche il vescovo Joseph Gargitter (1917-1991), uomo illuminato capace di guidare la chiesa con un nuovo stile, ne fu amico e lo chiamò a realizzare importanti progetti per la diocesi, tra i quali l’Accademia Cusano, la chiesa e il centro comunitario St. Gertraud a Bolzano (prima chiesa postconciliare a Bolzano della comunità di lingua tedesca dei rimpatriati costituita nel 1958) e il seminario di Bressanone. L’architettura di questo territorio si è quindi potuta sviluppare in modo piuttosto unico anche attraverso l’utilizzo di alcuni strumenti atti a favorire la qualità dell’architettura e quindi la qualità del territorio: alcune fondazioni (Fondazione Architettura Alto Adige), i concorsi, le riviste (Turris Babel) e lo stesso ordine degli architetti. I concorsi sono indetti per le opere pubbliche, per le opere private ad uso pubblico come le chiese e addirittura indetti dai privati per la realizzazione dei loro edifici sia di abitazione che produttivi.
Dal punto di vista artistico, fu di capitale importanza nel dopoguerra la costituzione della Commissione di decorazione di opere pubbliche che favorì l’affermazione di molti artisti: Hans Prünster, Heiner Gschwendt, Robert Scherer, Siegfried Pörnbacher, Karl Plattner. (5) Sempre nel dopoguerra, Merano, con la sua Galleria al Corso, divenne un centro di partecipazione del dibattito artistico e culturale internazionale; vi transitarono De Chirico, Manzù, Emilio Dall’Oglio, Antonio Manfredi, Mario Gorini. Gli artisti meranesi tra i quali, Peter Fellin, Karl Plattern e Oswald Kofler nel 1954 pubblicarono il bilingue Manifesto del Gruppo artisti sudtirolesi in cui erano stigmatizzate le chiusure della critica locale alle nuove tendenze. (6) Gli artisti italiani si riunirono nel Sindacato italiano artisti delle belle arti che si fece nuovamente promotore delle «Biennali di Bolzano». A questa attività si unì quella di alcune importanti gallerie del capoluogo in cui si misero in luce scultori come Guido Daurù e Claudio Trevi. A partire dagli anni Ottanta un grande impulso è stato dato dal Museo di arte moderna, dal 1991, Museion, nato su iniziativa di privati e con il sostegno della Provincia autonoma. La sua particolarità sta nel fatto di non essere un semplice contenitore di opere da collezionare, ma un vero e proprio museo-laboratorio che lo mette in collegamento con i fenomeni artistici internazionali.
Anche la storia della liturgia sudtirolese gode di un primato poco o quasi del tutto sconosciuto al di fuori della diocesi. Il Movimento liturgico venne diffuso tra la popolazione di lingua tedesca per merito del beato Josef Mayr-Nusser (1910-1945), morto in Germania prima di giungere a Dachau, – membro e responsabile del progetto dei Giovani cattolici (katholische Jugendgruppe) del suo tempo -, Toni Kaser e di don Josef Ferrari, assistente della gioventù cattolica e don Hugo Nicolussi. (7) Essi portarono i principi del Movimento liturgico e le prime esperienze celebrative in lingua tedesca soprattutto a partire dalla diffusione delle idee dell’austriaco Pius Parsch. Dal 1935 al 1944 i giovani e le giovani dei Giovani cattolici si ritrovavano nella piccola chiesa di San Giovanni in Villa a Bolzano, da loro risistemata, per partecipare alla messa. Questa era celebrata in latino sottovoce da don Ferrari e Mayr-Nusser la recitava a voce alta in tedesco affinché fosse compresa dai giovani che stavano attorno all’altare. La liturgia era per loro il centro della vita e le nuove piccole comunità dovevano fungere da «irradiazione nel mondo» di Cristo, (8) unico riferimento e guida nella società.
In sintesi, anche lo studio delle chiese di un territorio non può non soffermarsi sulla storia e sull’unicità dello stesso, perché «Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» (Evangeli Gaudium, 236).
Note
1. E. Curzel, Storia della chiesa in Alto Adige, Padova, Edizioni Messaggero, Facoltà Teologica del Triveneto, 2014 (Sophia, Didaché/Manuali- Storia delle chiese locali, 1),
2. C. Romeo, Alto Adige/Südtirol. XX secolo. Cent’anni e più in parole e immagini. Società, politica, economia, cultura, costume, personaggi di un territorio plurilingue e di frontiera, dall’Ottocento ai giorni nostri, Bolzano, Edizioni Raetia, 2003, 159.
3. Ivi, 159.
4. A. Winterle, Imparare da Barth, in «Turris Babel» 120 (2020), 22.
5. C. Romeo, Alto Adige/Südtirol. XX secolo, op. cit., 319.
6. Ivi, 319-320.
7. S. Tardivo, Mit Bibel, Schott und Rosenkranz. Die liturgische Erneuerung am Beispiel Josef Mayr-Nussers, in Die Katholische Jugend in Südtirol. Einblicke in mehr als 100 Jahre kirchliche Jugendarbeit, Hrsg. von Südtirols Katholischer Jugend (SKJ), Bozen, Athesia, 2021, 46-83.
8. «Ausstrahlung in die Welt», in S. Tardivo, Mit Bibel, Schott und Rosenkranz., op. cit., 74.
Confini attuali della Diocesi di Bolzano-Bressanone
https://it.wikipedia.org/wiki/Diocesi_di_Bolzano-Bressanone#/media/File:3_Bolzano-Bressanone.png
Di Paolo3577 – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=46056726
Pianta delle diocesi di Bressanone e Trento allegata a una lettera del 1934 del vescovo Johannes Baptist Geisler di Bressanone al vescovo Ferdinando Rodolfi di Vicenza, Archivio Rodolfi, Corrispondenza, b. 13.
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