Ossola
Felice e Vincenzo – Bannio Anzino
Felice e Vincenzo – Bannio Anzino
Le reliquie dei Santi Felice e Vincenzo, ritrovate nelle catacombe di Roma, dal 1776 si conservano all’interno della chiesa parrocchiale di San Bartolomeo, a Bannio, in Valle Anzasca, la valle ossolana che conduce ai piedi del Monte Rosa.
La loro vicenda inizia negli anni settanta del XVIII secolo, quando i resti mortali di questi due cristiani di Roma vennero ritrovati all’interno del complesso cimiteriale di San Lorenzo, presso l’agro Verano, lungo la via Tiburtina. L’autentica riguardante il corposanto di Felice reca la data dell’8 febbraio 1774, mentre quella di Vincenzo del 3 giugno 1776 e fu proprio in quest’anno che le reliquie presero la via per raggiungere la Valle Anzasca.
Le ossa di Felice, all’interno di una cassetta lignea rivestita di stoffa e carta rossa, giunsero a destinazione il 9 luglio del 1776 e per la loro composizione in forma anatomica di scheletro umano vennero incaricati i padri cappuccini, esperti nella realizzazione di questi manichini. A lavoro ultimato, il 3 agosto seguente, l’urna contenente il corpo di Felice ricostruito venne offerta alla pubblica venerazione presso la casa parrocchiale e, il giorno seguente le solenni celebrazioni ad onore della Madonna della Neve, venne portata in processione e poi collocata in parrocchiale.
Circa due settimane dopo, il 22 agosto, giunsero in paese anche i resti di Vincenzo, dopo un lungo viaggio iniziato il 3 giugno precedente, già collocati entro un’elegante urna ad opera del frate cappuccino Francesco Maria Ballotta, a spese dei banniesi residenti nell’Urbe. La cassa contenente il prezioso carico viaggiò per mare fino al porto di Genova, dove venne presa in custodia da un membro della famiglia Giovaninetti che lo trasportò fino ad Alessandria, presso la casa di altri banniesi che lavoravano in loco. Durante questa sosta, un ammalato presente nell’abitazione, infermo da lungo tempo, avrebbe riacquistato la salute invocando l’intercessione del presunto martire. In segno di riconoscenza per l’avvenuta guarigione, la famiglia fece confezionare una preziosa stola di velluto rosso da usarsi in occasione della festa annuale in onore dei due santi. Dalla città piemontese fino a destinazione il trasporto venne curato da Bartolomeo Branzetti e, con grande gioia degli abitanti, anche questo corposanto poté essere collocato nella loro chiesa.
La comunità di Bannio iniziò a dedicare la prima domenica di giugno al ricordo dei due santi: una scelta calendariale dettata dalla necessità di invocarne l’intercessione a protezione dei raccolti e dei frutti della campagna, fonte primaria di sussistenza per l’economia agro pastorale del paese a quell’epoca. Per alcuni anni la ricorrenza era resa ancor più solenne dalla presenza della Milizia ma, a motivo dell’assenza di molti uomini in quel periodo dell’anno, la tradizione non venne sempre rispettata. Dai documenti di archivio risulta che siano avvenuti festeggiamenti particolari nel 1788 e nel 1832. La festa è tutt’ora celebrata all’inizio di giugno: in tale occasione si svolge anche la processione del Corpus Domini, con la quale si porta per le vie del paese, addobbate con lenzuola, il Santissimo Sacramento. Non risulta, a memoria d’uomo, che si sia mai svolta una processione con le due urne, che sono conservate sopra la mensa di due altari a fianco del presbiterio, in capo alle navate laterali: a destra, in quello dedicato alla Madonna del Rosario, è deposto il corpo di San Felice, mentre a sinistra, presso quello intitolato alla Vergine Addolorata, si trovano i resti di San Vincenzo.
La mano dei cappuccini che ricomposero Felice si presenta meno esperta rispetto a quella di chi, a Roma, confezionò il manichino di Vincenzo, che dimostra una padronanza maggiore nel lavorare il materiale delle parti anatomiche in vista. Felice è presentato nella posizione di dormiente, mentre si porta verso il volto le mani, con cui regge il vaso di sangue – contenente frammenti ossei – e la palma; il cranio è ricoperto di una tela rossa che ne lascia appena intravvedere la forma, mentre altre ossa ricostruite si scorgono nelle braccia e nella parte inferiore delle gambe. Vincenzo appare invece come giacente su un fianco, reggendosi il capo, ornato da una ghirlanda di fiori, con il braccio destro, mentre il sinistro, adagiato lungo il corpo, reca la palma; un reliquario ligneo dorato, posto accanto ai piedi, custodisce l’ampolla di sangue. Assai diversa è anche la foggia degli abiti: variopinto con vivaci tinte quello di Felice, a prevalenza di azzurro, con decori argentati, quello di Vincenzo.
Delle due urne è stata anche realizzata una stampa, tratta da un’incisione fatta eseguire, come si legge in calce alla stessa, da Bartolomeo Branzetti che, come già ricordato, curò il trasporto fino a Bannio. Alla stessa stampa si è ispirato lo sconosciuto pittore di un ex voto conservato nella sacrestia della parrocchiale, in cui si vede una donna inginocchiata che si rivolge supplice alla Vergine, ritratta nelle sembianze della statua della Madonna della Neve venerata nel vicino santuario, mentre le appare entro una nube sopra ad un altare, ai cui lati compaiono le due urne di Vincenzo, sulla sinistra, e Felice, sulla destra, nella stessa collocazione visibile in chiesa.
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