La Cattedrale scrigno delle reliquie agatine

La cappella Sant’Agata e il sacello

La cappella Sant’Agata e il sacello

La cappella Sant’Agata dell’absidiola destra è interamente dedicata al culto delle reliquie della Martire. Da qui si accede anche al Sacello, creato probabilmente a partire dall’arrivo del Reliquiario a busto di sant’Agata nel 1377. La celebre opera fatta ad Avignone dall’orafo pontificio Giovanni di Bartolo l’anno prima, venne infatti portata a Catania direttamente da Elia da Vodron (1376-1378), vice tesoriere alla corte pontificia eletto vescovo della sede etnea.

La cappella, interamente ricoperta di affreschi ispirati a temi agatini, ha un impianto decorativo quattrocentesco particolarmente pregevole nel retablo in marmo dorato e dipinto raffigurante la Incoronazione di Sant’Agata tra i Santi Pietro e Paolo (1496). L’opera di Antonello Freri  è frutto della particolare devozione agatina di Maria d’Avila e di suo marito, il viceré Ferdinando de Acuña morto prematuramente (1494) e seppellito nel luogo. Così il suo monumento funebre lo rappresenta in atteggiamento di venerazione della Santa.

La Lampada ad olio in argento collocata davanti al sacello della Martire, è dovuta allo scampato pericolo di gran parte della città di Catania durante l’eruzione dell’Etna del 1669. Il viceré Francesco Fernandez de la Cueva duca di Albuquerque, infatti, su ordine del Re fece «voto» che questa avrebbe dovuto ardere perennemente a memoria del trionfo di sant’Agata sull’impeto delle fiamme distruttrici del Vulcano.

Nel sacello di sant’Agata è di grande interesse il programma iconografico, ispirato a temi biblico- agiografici correlati molto sapientemente con la decorazione simbolica della volticciola, chiave primaria di lettura dell’intera opera. Le scene istoriate dipinte sulle pareti rappresentano tre episodi contenuti rispettivamente nelle Passioni di Agata e di Lucia, e nella Lettera del vescovo Maurizio, narrazione epica della traslazione delle reliquie della Martire catanese avvenuta, come si crede, nel 1126. Così queste pitture sembrano una sorta di sermone visivo che esalta l’importanza delle reliquie della Santa custodite nel sacello.

Il programma pittorico inizia sulla parete di sinistra con il breve ciclo agiografico illustrato su due registri sovrapposti entro i quali, da un pilastro collocato in mezzo, sono ripartite le quattro scene descritte di seguito.

Registro superiore

Nel registro superiore, il riquadro a sinistra raffigura Lucia e la madre Eutichia in postura eretta, mentre il gesto delle loro mani le indica chiaramente in preghiera. Proponendo qui la trascrizione iconografica del noto episodio del devoto pellegrinaggio della Martire siracusana al sepolcro di Agata, l’artista di certo ha voluto evidenziare l’importanza della preghiera rivolta ai Santi, sin dall’inizio riconosciuti dalla Chiesa efficaci intercessori presso Dio. Nel secondo riquadro contiguo sono rappresentati Goselmo e Gisliberto, gli audaci esecutori del «lodevole furto» del venerato corpo della Martire, che secondo la tradizione sarebbe avvenuto mentre questo si trovava custodito a Costantinopoli.

Registro inferiore

Il registro inferiore invece è caratterizzato da due scene incompiute: la prima (a sinistra) raffigura una folla di cittadini di ogni condizione che, di certo stupiti per l’inatteso evento, accolgono però con gioia incontenibile le reliquie di sant’Agata al loro arrivo a Catania, riportate dopo oltre ottant’anni a conclusione di un lungo e avventuroso viaggio dalla capitale imperiale; la seconda scena (a destra) rappresenta sicuramente Maurizio, mentre prende i venerati resti da una sorta di sarcofago. Anche qui si tratta della raffigurazione fedele di episodi agiografici narrati enfaticamente dal Vescovo nella sua celebre Lettera. In effetti nel periodo successivo alla rifondazione della Diocesi di Catania da parte dei Normanni (1092) è documentata una consistente presenza di ebrei e musulmani che continuarono a vivere pacificamente nel territorio etneo. È significativo perciò che la traslazione sembra concludersi nella cattedrale da poco edificata, nuovo fulcro della vita cittadina, qui richiamata probabilmente dai due elementi decorativi di facciata che si vedono pendere dall’alto. Così questo particolare conferma il legame indissolubile che, a partire dalla ricezione delle reliquie nella loro comunità originaria, si venne a creare tra sant’Agata, l’omonima cattedrale e la popolazione devota alla Martire.

Parete destra

Sulla parete destra, sovrastante l’armadio a muro che custodisce il reliquiario a busto di sant’Agata, spicca una figura aureolata sormontata dalla scritta «Ego sum apostolus X[…]» (Io sono [Pietro] apostolo [di Cristo]). La bella immagine era rimasta finora sconosciuta, perché interamente coperta dal fastigio della porta argentea dell’armadio attribuita a Francesco e Antonio Martinez che, presumibilmente a partire dall’anno della sua creazione (1732), sostituì la precedente porta lignea (XVII secolo) ora esposta al Museo diocesano. La decorazione originaria di tutto lo spazio circostante mostra quattro angeli, che raccogliendo ai lati della nicchia i lembi di una tenda a padiglione, «svelano» le reliquie della Santa invitando così discretamente alla loro venerazione. Questo motivo è l’esatta replica di quello che si vede in rilievo nell’imponente monumento funebre elevato sulla sepoltura del viceré De Acuña, proprio di fronte al sacello.

La volticciola

Il programma iconografico trova la sua mirabile unità nella decorazione della volticciola a botte. Questa è caratterizzata da tre scomparti campeggiati singolarmente da un medaglione formato da ghirlande di fiori e frutti, motivo classico che evoca il ciclo infinito del tempo creato. Ciascun medaglione è sorretto da due angeli rivestiti di tuniche intessute d’oro che si presentano sia come portatori di un messaggio scritto sul filatterio, sia come adoratori di Dio. I singoli medaglioni mostrano un monogramma, rispettivamente (a sinistra) ΧΡS, formato dalle due lettere iniziali e dalla finale di Χριστός; (al centro) IHS, abbreviazione della parola greca IHσουΣ (Iesoùs); (a destra) aM, riferito a Maria Madre di Dio e a sant’Agata.

Così nello spazio tripartito della volta, l’artista ha fissato simbolicamente la chiave interpretativa principale dell’intero programma iconografico. Infatti, proprio sulle cornici del riquadro centrale della volta, si vedono raffigurati i quattro esseri a quattro facce e quattro ali di Ez 1, 5-6, disposti specularmente. Cavalcatura e sede dell’Onnipotente (cfr. Salmo 18,10: «Cavalcava un cherubino e volava»; Salmo 99,1: «Il Signore siede sui cherubini: la terra è scossa»), il cherubino, che evoca la forza di Dio, mostra come la gloria del Signore può manifestarsi in ogni luogo. Questa però si è resa pienamente visibile in Cristo Gesù come gloria del Padre: dunque nel «cielo» del sacello è raffigurato proprio lui, il Figlio unigenito, nella duplice forma del suo antico monogramma, simbolo della regalità di Cristo sul tempo e sulla Storia.

La bicromia dei volti raffigurati sulle due cornici centrali, evoca efficacemente quella sorta di movimento a cori alterni descritto dal profeta Isaia nella sua visione di figure umane misteriose — dalla tradizione nominati cherubini e serafini — che stando davanti a Dio onnipotente contemplano incessantemente la gloria del suo volto, proclamando l’uno all’altro senza fine: «Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria!» (6, 1-3). Questa gloria di Dio, che fu appena percepita da Pietro, Giacomo e Giovanni quando la videro rifulgere sul volto di Gesù, il solo «Santo», nei brevi istanti della sua trasfigurazione sul Tabor (cfr. 2Cor 4, 6; Mt 17, 2; Lc 9, 32), ormai ha i suoi testimoni nei fratelli che, grazie alla loro docilità all’azione dello Spirito Santo, già vivono in Cristo. Nella vita dei Santi infatti, che pur partecipi della nostra umanità sono tuttavia più perfettamente trasformati a immagine di Cristo (cfr. 2Cor 3, 18), Dio manifesta efficacemente la sua presenza e il suo volto agli uomini.

Così il terzo monogramma, congiungendo nel segno aM le iniziali di Agata e Maria — secondo una proporzione di certo non casuale — si offre come chiave di lettura delle due scene a sfondo biblico, con le quali ha un’intima correlazione simbolica.

Davide salmeggiante e la Pietà

Le due scene correlate sono il Davide salmeggiante e la Pietà, entrambe riprodotte sulla parete frontale all’ingresso. In effetti, il filatterio svolazzante intorno alla figura del re di Israele, cita la seconda parte del versetto 9 del Salmo 45: «Astitit regína a destris tuis i[n vestitu deaurato]» (Alla tua destra sta la regina [tessuto d’oro è il suo vestito]). Il senso della citazione è chiaro: condotte in gioia ed esultanza al suono di strumenti a corda, le vergini in corteo giubilano accompagnando la regina che si avanza in pieno splendore incontro al suo re. Così questo impianto è perfettamente conforme alla lettura tipologica cristiana, che di volta in volta ha visto adombrato nel Salmo 45 il mistero sponsale di Cristo con la Chiesa, con Maria Vergine — modello e archetipo della fede della Chiesa — e con i Santi, anzitutto i martiri. Essi infatti, nella speranza della risurrezione, con l’effusione del loro sangue hanno offerto, a imitazione del Salvatore sofferente sulla Croce qui rappresentato nel riquadro della Pietà, la più alta testimonianza di fede e di carità. Al mistico sposalizio partecipano però anche le Vergini; difatti vivendo sull’esempio della Madre di Dio, che dal suo stesso Figlio riceve gloria, queste sono «segno sublime dell’amore che la Chiesa porta al suo Signore, immagine escatologica della sposa celeste e della vita futura».

Perciò tutta la scena si staglia sul fondo blu. Infatti come l’oro — che non è un colore ma «luce» — il blu è sinonimo di luce divina, luce celeste, luce che irradiandosi «scolpisce» tutto ciò che è creato. I cieli dunque sono simbolicamente aperti nel luogo che custodisce i venerati resti della vergine e martire Agata: colei che fu resa degna di combattere per il nome di Cristo, e solo in lui trovò la forza della sua vittoria, ormai può rendergli eterna testimonianza perché ha visto la gloria del Signore. Proprio come il protomartire Stefano che, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo disse: «Ecco, io vedo i cieli aperti, e il Figlio dell’uomo in piedi alla destra di Dio» (Atti 7, 55-56).

La peculiare santità di Agata, per la quale ella è riconosciuta speciale patrona della città di Catania ed efficace protettrice del territorio etneo, finalmente viene annunziata solennemente dai sei angeli che, mentre sorreggono i tre monogrammi, mostrano, ancora su un filatterio svolazzante, la riproduzione della famosa epigrafe «Mentem sanctam spontaneam [honorem Deo] et patriae liberacionem» (Mente santa spontanea, onore di Dio e riscatto della patria).

Il maestro delle pitture murali del sacello, attingendo abbondantemente al già ricco patrimonio della tradizione iconografica Agatina  ha decorato questo luogo sacro di figure e di simboli cristologici tradizionali, rivelando così l’ordinata percezione del ruolo dei Santi nella vita della Chiesa. Egli inoltre è riuscito a conferirgli  una nota festiva e al tempo stesso un’aura «misteriosa», per presentarlo come il mistico talamo nuziale della Sponsa Christi prefigurata nel Salmo citato sopra.

 

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