Dal loculo all’altare: un viaggio alla scoperta delle reliquie catacombali nella diocesi di Novara
I corpisanti: originalità di una reliquia
I corpisanti: originalità di una reliquia
MENU
Nell’ambito delle devozioni che, nel corso dei secoli, hanno caratterizzato il mondo cattolico un posto particolare occupano i cosiddetti corpisanti: un’originale tipologia di reliquia che inizia a diffondersi a partire dagli anni tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo. Con questo termine s’intende indicare i resti ossei di individui, appartenenti all’antica comunità cristiana, sepolti nelle catacombe di Roma e di altre località che, sulla base di alcuni criteri di riconoscimento, vennero identificati come martiri e proposti alla venerazione del popolo cristiano in luoghi di culto sparsi in ogni parte del mondo.
Al momento della loro riscoperta, le catacombe si presentavano come un mondo ancora sconosciuto, giunto praticamente integro all’età moderna. Le pareti delle lunghe gallerie serbavano ancora intatte sepolture di cristiani i cui resti, a differenza di quelli dei martiri conosciuti, non essendo oggetto di venerazione da parte dei fedeli, non erano stati traslati altrove quando le catacombe persero la loro funzione funeraria e vennero progressivamente abbandonate. Per una superficiale interpretazione delle antiche fonti e dei dati archeologici che si andavano riscoprendo, queste deposizioni vennero ritenute di martiri delle persecuzioni imperiali e le ossa in esse contenute furono proposte alla venerazione dei fedeli.
Per identificare le sepolture di eventuali nuovi martiri, si fece ricorso alla presenza di alcuni segni distintivi che, se rinvenuti o rintracciati all’interno o in prossimità dei loculi, avrebbero indicato l’avvenuto martirio per il fedele inumato. Questi segni erano principalmente: vaso di sangue – un’ampolla o una coppa, in vetro, in terracotta o in altro materiale – in cui si credeva essere conservato il sangue versato nel martirio, e la palma , incisa, graffita o dipinta sulla chiusura del loculo, quale simbolo del martirio stesso. Va ricordato che, né papa Damaso, nella sua opera di recupero e sistemazione delle memorie dei martiri, né i pontefici autori delle traslazioni tardo antiche, né i cercatori medievali di reliquie, si avvalsero mai di questi elementi per identificare le sepolture dei martiri autentici.
Dopo aver riconosciuto il sepolcro di un presunto martire, si poneva la necessità dell’identificazione del personaggio di cui si erano recuperate le reliquie. Non sempre era possibile ricostruire perfettamente le epigrafi sepolcrali e, in certi casi potevano essere sconosciuti sia il nome, sia l’identità ed anche l’epoca della morte del presunto martire. Per questo motivo, a molti corpi estratti anonimi dalle catacombe, prima di essere destinati al culto, veniva attribuito un nuovo nome, più aggettivo che identificativo, con criteri che spaziavano dal simbolico riferimento alle virtù esercitate dal martire, o al suo stato di beatitudine, all’età dell’individuo, dal complesso catacombale da cui era stato estratto, alla memoria di personaggi illustri che si voleva onorare. Il repertorio onomastico di questi nuovi santi risulta quindi molto ricorrente e, pertanto, due furono le categorie in cui si divisero queste particolari reliquie: i corpisanti di nome imposto e quelli di nome proprio, nei più rari casi in cui l’integrità delle iscrizioni avesse consentito di conoscerlo. Un pericolo, già avvertito al momento della loro donazione dei sacri resti e su cui mettono in guardia i documenti ecclesiali già dal Seicento, è quello di attribuire queste reliquie ai santi omonimi documentati dalle fonti agiografiche, causando equivoci di identificazione purtroppo ancora frequenti nella storiografia che riguarda i corpisanti.
Please , update your browser